Via le pagelle, tornano alle elementari i giudizi: “Valutare, non dare i numeri”

Via le pagelle, tornano alle elementari i giudizi: “Valutare, non dare i numeri”

Voti o giudizi? Qual è il metodo più idoneo per la valutazione del rendimento scolastico? A quanto pare l’argomento specifico, nel corso dei decenni ha sempre rappresentato una sorta di “dilemma“, un altalenarsi di decisioni legislative che hanno portato a un avvicendarsi di soluzioni e modalità.

Tra voti, lettere e giudizi, si prospetta, anche per il prossimo anno, una nuova modifica, la nona, per la precisione, a partire al dal 1977 a oggi. Con un emendamento inserito dal Senato al decreto Scuola, che la Camera si appresta a convertire in legge, infatti, dall’anno scolastico 2020/21, per gli alunni delle scuole primarie, i voti in decimi faranno spazio nuovamente ai giudizi, scelta molto apprezzata dai pedagogisti e caldeggiata dal mondo della scuola.

I bambini non possono essere considerati dei numeri. Dare un 4 può essere un macigno pesante da comprendere mentre una valutazione più complessiva prende in considerazione le caratteristiche del bambino“, queste le dichiarazioni della senatrice Vanna Iori, riportate dall’Ansa. Non solo, “il giudizio tiene conto della specificità e della individualità di ogni singolo bambino, mentre il voto numerico livella e rende tutti uguali, anche se ci sono diverse motivazioni dietro a quel voto“.

Ma qual è il parere degli “addetti ai lavori”?

Le parole di una Dirigente Scolastica, Marcella Marsico, ci illuminano in tal senso. “Questo è un tema sempre attuale nel mondo della scuola. Dal prossimo anno la valutazione degli apprendimenti nel primo ciclo scolastico cambierà veste. Un nuovo modo di concepire la valutazione rispetto al passato, non intesa più per classificare e selezionare gli alunni ma per accompagnarli nel percorso di formazione. La valutazione diventa, in tal senso, una fase costruttiva in cui l’alunno può sviluppare le proprie competenze, attraverso il ‘giudizio descrittivo“.

Ma torniamo al 1977: quell’anno segnò il debutto dei giudizi, cancellando, dopo quasi 50 anni, la vecchia pagella con i voti da 1 a 10. Era il periodo del terzo governo Andreotti, quando la legge 517 sull’integrazione scolastica, oltre a modificare la modalità di valutazione, eliminava le classi speciali per gli alunni con disabilità e lasciava aperti gli istituti anche d’estate.

Nel 1990, la legge 148 sull’ordinamento della scuola elementare assegnò all’allora ministro della Pubblica Istruzione, Sergio Mattarella, il compito di rivedere i criteri di valutazione. Così, tre anni dopo, con un’ordinanza ministeriale di Rosa Russo Iervolino, si introdussero in pagella le lettere A, B, C, D ed E.

Passarono solo tre anni e una circolare di Luigi Berlinguer ripristinò i giudizi (ottimo, distinto, buono, sufficiente e insufficiente). Nel 2008 la legge Gelmini ripristinò il voto in decimi.

Un andirivieni di leggi e decreti, che hanno dimostrato la mancanza di chiarezza di idee e propositi da parte di uno Stato che non ha mai tenuto una condotta lineare, nonostante le diverse figure politiche che lo hanno governato. Ma, afferma la prof.ssa Marcella Marsico, “ritengo che il tema della valutazione non può essere affrontato in termini di decreti. La scuola necessita una riflessione seria. Valutare è anche un atto di coscienza oltre che un momento altamente formativo“.

Forse – conclude in modo perentorio – è tempo di aprire un dibattito che coinvolga anche chi valuta e non solo chi legifera.

 

Fonte immagine – santalessandro.org