In Sicilia a rischio chiusura i centri recupero della fauna selvatica

In Sicilia a rischio chiusura i centri recupero della fauna selvatica

 

SICILIA – I centri recupero della fauna selvatica in Sicilia sembrano ormai a rischio estinzione come molte delle specie che contribuiscono a mantenere in vita. Appare un paradosso ma non lo è. Dietro queste strutture che tutelano la diversità biologica delle specie animali indispensabili per mantenere l’equilibrio dell’habitat in cui viviamo c’è l’instancabile lavoro di molti veterinari e volontari che combattono ogni giorno donando tempo e denaro per salvare la vita di creature indifese vittime di bracconaggio illegale, di cattiveria gratuita, di traumi accidentali, prede di un territorio diventato ormai inospitale per molte delle specie che andrebbero tutelate.

Tutelate da chi? La risposta è semplice. Secondo l’Articolo 1 della legge 157/1992: La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale e internazionale” e, quindi, protetta da apposite leggi nazionali, regionali e regolamenti comunitari.

Nello specifico la Regione siciliana si impegnava con la legge regionale 1 settembre 1997, n. 33 a tutelare il patrimonio faunistico dell’isola. Da allora i Centri di Recupero della fauna selvatica, riconosciuti dall’Assessorato Regionale Agricoltura, dello sviluppo rurale e della pesca mediterranea, sono diventati cinque e sono stati distribuiti su tutto il territorio per accogliere, assistere, riabilitare e reintrodurre in natura gli animali appartenenti alla fauna selvatica.

Ma cosa è accaduto da due anni a questa parte?

Prima la Regione rimborsava a consuntivo le somme spese per il recupero della fauna selvatica locale – ci racconta Calogero Lentini responsabile del centro di Cattolica Eraclea (AG) – ma nonostante da parte nostra fosse tutto rendicontato e messo in regola hanno deciso ad un tratto di chiuderci completamente i rubinetti per “mancanza di fondi”. Le spese del 2013 e 2014 non sono mai state rimborsate. Alcuni centri hanno dovuto chiudere i battenti e altri seguiranno a catena. La volontà politica si fa sentire solo a voce ma manca nei fatti. Il Cts, l’associazione che gestisce il nostro centro, ha ottenuto dei finanziamenti europei ma ci è stata garantita la sopravvivenza solo fino alla fine del 2015 e poi?”

La domanda rimane sospesa, la risposta purtroppo si conosce ma, finchè sarà possibile, sarà meglio strozzarla in gola che gridarla apertamente. La verità è che tutti questi centri sembrano davvero anelli deboli di una catena pronta a spezzarsi da un momento all’altro: “Ormai siamo costretti a raccogliere le briciole, a risparmiare centesimi veri – afferma amareggiata Grazia Muscianisi responsabile del CRFS di co.da Valcorrente (Belpasso, CT) che non percepisce più finaziamenti regionali dal 2013 – Abbiamo portato avanti diverse lotte per far ragionare i politici e far capire che la fauna selvatica non è un passatempo, un hobby di chi non ha niente da fare. Gli animali non sono nostri ma della Natura ed è la Regione che deve occuparsene. Non sono oggetti ma esseri viventi e come tali hanno il diritto di avere una seconda possibilità, di essere aiutati, curati e tutelati

Commossa e visibilmente provata aggiunge: “La Natura subisce un lutto per ogni esemplare che non può essere aiutato e oggi stanno scomparendo talmente tante specie che non ci possiamo permettere il lusso di perdere neanche un passerotto. Noi abbiamo raschiato il fondo del barile e ora non ce la facciamo più. Saremo costretti a chiudere

Alla domanda che ci siamo posti su che fine faranno queste povere creature dopo la chiusura dei centri ha risposto Maurizio Pennisi dell’unità operativa 50 della ripartizione faunistico-venatoria della provincia di Catania: “La Regione mette tutti in difficoltà: noi come ripartizione ma anche la forestale e chiunque trova un animale ferito e bisognoso di cure. In teoria se questi centri dovessero chiudere noi dovremmo portare gli animali al centro regionale di Ficuzza a Palermo ma i problemi logistici sono evidenti. A parte il fatto che Ficuzza non potrebbe ricevere migliaia di animali, ci vogliono circa 100 euro per arrivare nel capoluogo. Con 20 animali che vanno lì un centro recupero si copre mezza annata di cibo. I volontari non chiedono uno stipendio per il lavoro svolto ma solo dei soldi per la gestione dei centri che significa denaro per le spese vive: benzina, acquisto cibo, mangimi, medicinali. Possibile che non riescano a trovare questi soldi?”.

Riportiamo un calcolo interessante effettuato dal centro recupero di Cattolica Eraclea: “Facendo un conto spicciolo e calcolando di media quattro ore di lavoro di due forestali per ogni trasferimento di animali feriti a Ficuzza o altri centri (12€ x 4h x 2fores. + 50€ carburante = 146€ x 250 recuperi = 36500€) ci siamo resi conto che un centro chiuso costa alla Regione molto più di uno aperto. Bel risparmio!

In attesa che la Regione si riattivi per adempiere agli obblighi previsti dalla legge, Grazia Muscianisi lancia il suo appello corale: “Ogni privato cittadino può contribuire ad aiutare i nostri amici animali portando carne, croccantini, mangimi per uccelli, scatolette nei nostri centri recupero o dai veterinari specializzati. Non vogliamo soldi, vogliamo solo poter aiutare questi animali e far capire alle persone che ogni volpe, poiana, grifone, testuggine acquatica appartiene a ciascuno di noi, sono parte integrante del nostro capitale naturale che va incrementato e non distrutto

In questa lotta serrata abbiamo cercato delle risposte da parte dell’Assessorato ma con scarsi risultati poichè il Dirigente Generale del Dipartimento Interventi Strutturali D.ssa Rosaria Barresi non ci ha concesso una telefonica e, secondo quanto riferitoci dai responsabili delle unità operative del servizio “tutela e valorizzazione del patrimonio faunistico, programmazione e gestione dell’attività venatoria”, non ha dato l’autorizzazione a rilasciare interviste in proposito.

Dall’altra parte della cornetta abbiamo sentito un’unica voce, quella di Giampiero Trizzino presidente della commissione Ambiente e territorio dell’Ars: “Questa storia si trascina ormai da due anni. Da quando si è insediato il nuovo governo c’è stata la riduzione al capitolo di bilancio relativo ai centri recupero per la fauna selvatica; lo stanziamento era intorno ai 350 mila euro ma questo fondo non è stato mai coperto e nel corso degli anni, durante le finanziarie, abbiamo proposto degli emendamenti correttivi con l’obiettivo di rimpinguare questa dotazione finanziaria ma ogni volta puntualmente non è stato fatto nulla, nel senso che durante il dibattito in aula l’emendamento è stato bocciato”.

Ed aggiunge: “Non dico che non c’è la volontà politica nel finanziarli. Credo più che altro che ci sia disinteresse. Parliamoci chiaro: si tratta di un finanziamento ridicolo rispetto a un bilancio regionale perchè 350.000 euro sono centesimi nelle tasche”.

Di centesimi tangibili nelle tasche dei volontari sembrano esserne rimasti davvero pochi e le vittime di un sistema regionale che si orienta a tentoni sono queste creature senza voce che, contrariamente all’opinione comune, hanno molto da raccontare e da donare all’uomo.