“Mia madre si è riscoperta guerriera”, dalla lotta contro il virus al messaggio di speranza dopo la guarigione – STORIA da Catania

“Mia madre si è riscoperta guerriera”, dalla lotta contro il virus al messaggio di speranza dopo la guarigione – STORIA da Catania

CATANIA – Tra le numerose storie di decessi, i dati più o meno confortanti e il carico di ipotesi e teorie in giro per il web nel clima di confusione e incertezza generale, fortunatamente non mancano quei racconti che, con il loro lieto fine, offrono coraggio e speranza a un mondo profondamente cambiato dall’avvento improvviso del Coronavirus.

Una di queste è quella raccontata dalla giovane catanese Martina e dalla madre, risultata positiva al Covid-19 e guarita dopo un lungo percorso fatto di lotta, attesa e momenti di lontananza sofferta dai propri affetti.

La donna, uno dei primi casi positivi nel capoluogo etneo, ha iniziato ad avere i sintomi a inizio marzo, prima del lockdown. In un primo momento non si pensava che potesse trattarsi di Coronavirus: “All’inizio non sembrava un problema che potesse toccarci in prima persona. Mia mamma non aveva avuto contatti con nessuno proveniente dalla Cina o dal nord Italia, dove già erano presenti dei casi, e, quando le autorità competenti avevano incitato a rispettare norme igieniche preventive, tutta la famiglia aveva seguito i consigli degli esperti”, racconta Martina.

La diagnosi non è stata facile: “Inizialmente pensavano si trattasse solo influenza, poi di una polmonite. Solo dopo qualche giorno mia madre, che ormai aveva la febbre a 40, è stata sottoposta a tampone e ha scoperto di essere positiva al Covid-19″.

A circa 3 giorni dal suo ingresso all’ospedale San Marco di Catania, la paziente e i suoi parenti hanno dovuto affrontare la lotta più difficile di tutte: “Mia mamma è stata trasferita nel reparto di Rianimazione per insufficienza respiratoria ed è stata in coma farmacologico, con ventilazione assistita, per circa due settimane”. Sono stati giorni duri per tutti, per la donna, costretta a lottare contro il “nemico silenzioso” che aveva stravolto improvvisamente la sua quotidianità, per i parenti, costantemente in attesa del bollettino giornaliero delle 18 per sentirsi dire solo “Stazionaria”. Una parola che per molti può non significare molto ma che, almeno per le famiglie dei pazienti ricoverati, è una minima garanzia del non peggioramento delle condizioni del proprio caro di fronte a un virus dall’andamento profondamente “altalenante”: “Il virus lo sconfigge il corpo, con il tempo. Ci sono miglioramenti e peggioramenti, il virus non segue un andamento regolare”, spiega Martina, che mentre la madre si trovava in ospedale ha dovuto portare avanti una propria battaglia personale.

Non solo si è fatta forza di fronte alla condizione del genitore, ma anche ha anche trovato il coraggio di continuare a vivere la propria vita conseguendo un importante obiettivo: la laurea in Medicina. “Mi sono laureata mentre mia mamma era intubata. L’ho fatto per lei. Non avrei potuto darle il dispiacere di non laurearmi o di ritardare il giorno tanto atteso solo perché era in ospedale”, racconta.

Proprio dopo la benedizione “Urbi et Orbi” di papa Francesco, i primi segni di miglioramento: finalmente la mamma di Martina, privata dei tubi che per giorni l’avevano tormentata e sottoposta ad adeguati accertamenti, è tornata al reparto di Malattie Infettive prima di essere dimessa e ritornare a casa, accolta dall’affetto dei familiari.

Si è concluso così, con un lieto fine, un momento oscuro per la donna e i suoi cari, fatto di giornate trascorse al telefono e in stato di ansia perenne. “Al telefono mia mamma mi ha detto: ‘I virus sono morti tutti'”, racconta Martina.

“Con quest’esperienza mia mamma si è riscoperta guerriera, continua la ragazza, lasciando poi la parola alla madre, che dona un messaggio di speranza a chi ancora non ha concluso il suo percorso di guarigione: “Voglio fare un augurio a tutti i malati che stanno lottando. Possiamo farcela, anzi dobbiamo farcela, dimostrando a noi stessi quanto valiamo”.

Un ringraziamento speciale, inoltre, è andato ai medici e al personale dell’ospedale San Marco, che l’ha ospitata in quei giorni interminabili e che hanno mostrato tutto il loro affetto e la loro devozione non solo alla paziente, ma anche e soprattutto alle famiglie preoccupate a casa: “Ormai li chiamo i miei angeli.

Immagine di repertorio