Ansia e depressione, pregiudizi sulla figura dello psicologo? L’esperto commenta

Ansia e depressione, pregiudizi sulla figura dello psicologo? L’esperto commenta

CATANIA – Nella quotidianità ogni persona si ritrova ad affrontare determinati problemi o situazioni, più o meno complicati. Facendo un bilancio, probabilmente, sono in maggioranza i momenti difficili rispetto a quelli vissuti in totale spensieratezza.

Non a caso, le parole che con maggiore frequenza vengono pronunciate sono “stress”, “ansia” e “depressione”.

Si tratta di una serie di emozioni negative che, a lungo andare, causano non pochi problemi al benessere mentale dell’essere umano.

A confermare quanto esposto sono i dati Istat, gli ultimi risalenti al 2018, sulla salute mentale in Italia. In particolare, ci si concentra sulla depressione, la quale colpisce oltre 2,8 milioni di persone nel territorio nazionale, esattamente il 5,4% della popolazione.

Proprio l’ansia rappresenterebbe la causa scatenante della depressione in 2,2 milioni di italiani, interessando dunque il 4,2% dei cittadini sul precedente dato complessivo del 5,4%.

Una valida soluzione ai casi sopra citati, indubbiamente, è quella di rivolgersi a uno psicologo. La stessa richiesta di aiuto, da fuori potrebbe sembrare qualcosa di banale, tuttavia non lo è per diversi fattori.

Nel momento in cui ci si deve rivolgere a uno specialista, il soggetto spesso è spaventato per vari motivi.

Tra questi, una buona maggioranza crede che andare dallo psicologo sia un colpo basso alla propria autostima. Ci si sente incapaci di risolvere i propri problemi e non si riesce ad accettare che siano gli altri a doverli aiutare.

Oppure, forse come giustificazione, molte persone affermano di non avere tempo per rivolgersi a un esperto ed essere seguiti.

Non solo. A volte si rifiuta il confronto con una figura esterna per evitare il contatto con le emozioni che generano malessere.

Inoltre, un pensiero molto diffuso è legato alla paura che niente possa cambiare, nemmeno con l’aiuto di un esperto. Probabilmente questa sensazione è dettata da un’altra paura, quella del mutamento dei propri modi di pensare e di essere.

Non sempre è facile, per esempio, “tagliare i ponti” con il proprio passato e andare oltre, con il probabile rischio di trascinarsi le conseguenze disastrose per mesi o addirittura anni.

Altri, invece, hanno paura di diventare dipendenti dallo psicologo, con il timore di non riuscire più a risolvere le situazioni autonomamente.

Oltre a ciò, la questione che spesso impedisce di affidarsi a delle cure è quella economica e lavorativa. Oggettivamente, non tutti possono permettersi di sostenere delle spese e, tra questi, risultano essere più svantaggiati coloro con una difficoltà a livello occupazionale.

A tal proposito, gli stessi dati Istat del 2018 confermano che, tra i soggetti affetti da problemi psicologici, soltanto il 4% di questi ha un reddito alto, contrariamente all’8,3% delle persone con reddito basso.

Complessivamente, su scala nazionale solamente il 15% della popolazione si è rivolta a degli specialisti. La restante parte potrebbe non aver agito per problemi economici o per non aver individuato il giusto percorso di cure, finendo per rivolgersi al semplice medico di base.

Infine, tra gli ostacoli più grandi che bloccano l’individuo, nella richiesta di soccorso, pare ci sia la cosiddetta “paura dello stigma”.

È risaputo che in qualsiasi parte del mondo esistono dei pregiudizi verso determinati modi di fare. Tra questi, coloro che si affidano a uno psicologo spesso vengono considerati dall’esterno come “persone pazze” da tenere alla larga.

In ogni caso, per approfondire l’argomento è intervenuta ai microfoni di NewSicilia.it, la psicologa catanese Livia La Rosa: “L’aurea negativa attorno alla figura dello psicologo, riguarda tanto il professionista della salute mentale in sé, poiché questo tipo di stereotipi spesso sono generalizzati anche a psichiatri e psicoterapeuti, quanto l’idea che si ha della sua “clientela””.

A proposito dei pregiudizi prima accennati, la psicologa aggiunge: “Se da un lato, chi chiede aiuto a uno psicologo “deve avere veramente qualcosa che non vada”, dall’altro lato lo psicologo è quasi un truffatore. Una persona che si fa pagare per qualcosa che un amico ti offre gratuitamente, cioè l’accoglienza e l’ascolto, il tutto senza nemmeno dispensare consigli”.

La stessa continua: “Purtroppo queste sono considerazioni che, ad oggi, quasi tutti gli psicologi si sono sentiti rivolgere almeno una volta nella loro carriera universitaria/professionale. Da sempre la società ha stigmatizzato il disagio mentale e tutto ciò a esso correlato. Quest’ultimo è insidioso, non si può vedere e rende le persone soggette a forze misteriose che ne determinano i comportamenti. Ne consegue che chi ne soffre, nel migliore dei casi viene etichettato come debole, nel peggiore viene isolato e trattato da reietto”.

Infine, la dottoressa dichiara: “Tuttavia, negli ultimi tempi si assiste a un trend che lascia sperare in un cambiamento. La popolazione si apre di più alla prospettiva degli psicologi. Nascono ogni giorno sempre più eventi formativi e centri specializzati che sembrano ricevere sempre maggiore riscontro nel resto della società. Perché, in fondo, è solo con la sensibilizzazione alla materia che si può costruire una consapevolezza. Tale consapevolezza, gradualmente, porterà all’accettazione e alla normalizzazione della professione”.

Fonte immagine: Pixabay.com