Belice, il terremoto degli “ultimi”: la distruzione, i ritardi e i fantasmi delle città abbandonate

Belice, il terremoto degli “ultimi”: la distruzione, i ritardi e i fantasmi delle città abbandonate

TRAPANI – Il 14 gennaio 1968 i residenti di Gibellina che si recano alle urne per prendere parte alle elezioni municipali vengono sorpresi nel primo pomeriggio da diverse scosse di terremoto e si riversano in strada impauriti.

Un evento eccezionale per il piccolo borgo trapanese, fino ad allora considerato porzione di un territorio dal rischio sismico pressoché inesistente.

Spaventati per l’accaduto, i cittadini si addormentano al di fuori delle proprie case, approfittando del giaciglio improvvisato delle loro auto o in aree aperte, con l’augurio di non dover più patire le stesse preoccupazioni affrontate nelle ore precedenti.

Eppure, proprio durante la notte, nella valle del Belice che deve il suo nome al famoso fiume, si materializza una delle sventure più ricorrenti nella storia del genere umano. La scossa delle 3,01 scuote l’intera Sicilia occidentale. Le province di Agrigento, Palermo e Trapani sobbalzano, le abitazioni collassano fragorosamente e si arrendono alla magnitudo 6.1 che soffoca l’intero territorio.

L’epicentro del grave sisma è localizzato nei dintorni di Gibellina, proprio laddove la grande paura si era manifestata qualche ora prima causando soltanto dello scompiglio emotivo. Le macerie schiacciano corpi e cancellano vite, la maggior parte delle abitazioni rurali viene sbriciolata in pochi istanti, distruggendo ciò che fino a quel momento era stata l’economia dell’area, costituita sostanzialmente dall’attività rurale.

A Salaparuta, Montevago, Partanna, Santa Ninfa, Salemi e Santa Margherita Belice difficilmente si riesce ad avvistare una casa ancora in piedi. Solo a Poggioreale le strade non vengono invase dai detriti, un piccolo “prodigio” che non bastò, tuttavia, a evitare decessi e disgrazie.

Attraversando le vie del piccolo Comune ai giorni nostri si ha l’impressione di immergersi in un territorio bellico, costituito perlopiù da scheletri edili e piazze senza anime. Destino simile a quello vissuto da Occhiolà, in provincia di Catania, dove il terremoto del 1693 distrusse totalmente la località e costrinse i residenti a spostarsi più a valle.

Eppure, a distanza di decenni, lo scempio provocato dall’evento non sembra essere stato del tutto dimenticato. A restare impresse, nelle menti dei superstiti, sono i gravi ritardi della macchina dei soccorsi. Nessuno, prima di allora, aveva mai considerato di realizzare un piano di interventi nella zona del Belice. Furono enormi, inoltre, le difficoltà riscontrare al momento di raggiungere le popolazioni colpite a causa di una rete di infrastrutture insufficiente e obsoleta.

Immagine di repertorio