Privacy, sono almeno 80 le app che ci spiano

Privacy, sono almeno 80 le app che ci spiano

Sono circa 80 le app che spiano i nostri smartphone. Se da un lato ci hanno cambiato la vita, migliorandone tantissimi aspetti, dall’altro hanno pian piano eroso la nostra privacy. Infatti, nonostante l’entrata in vigore del GDPR, la recentissima normativa europea in materia di dati personali, pare non sia facile conciliare la privacy con la tecnologia.

Ogni giorno, utilizzando le app nel nostro smartphone, cediamo una parte della nostra privacy ad aziende che nemmeno conosciamo e che si nascondono dietro a servizi apparentemente innocui. Da qui le inchieste del New York Times e de La Repubblica su come le aziende raccolgono e utilizzano i dati degli utenti, mostrando come gran parte della nostra vita sia nelle mani di multinazionali che le usano per profilarci e per mostrarci pubblicità basata sulle nostre abitudini.

Sul punto è intervenuto anche Antonello Soro, il Garante per la Privacy, che in un’intervista a La Repubblica ha dichiarato che sono circa 80 le applicazioni che tracciano le nostre abitudini: “Si calcola che il numero delle app in circolazione che tracciano le abitudini degli utenti, compresa la posizione, siano circa ottanta. Ottanta per ogni persona che ha uno smartphone nel mondo”.

Un numero allarmante… Ma quali sono queste ottanta applicazioni?

Se si pensa che a violare la nostra privacy siano i giganti del web, si sbaglia. Esistono “aziende piccole e medie che raccolgono e vendono informazioni di ogni tipo su di noi. Fino ad arrivare a grandi banche dati dedicate a questo scopo delle quali la maggior parte delle persone non sospetta nemmeno l’esistenza”, ha dichiarato il Garante per la Privacy. “Purtroppo oggi non c’è nulla che impedisca ad una società di Pechino di raccogliere dati in Europa. Dovremmo avere uno scudo digitale, perché non abbiamo tutele né difese”.

Non si tratta di alcune app in particolare, ma piuttosto di alcune categorie che richiedono più autorizzazioni rispetto alle altre. In primo luogo ci sono i social network: ogni volta che installiamo l’app di una nuova piattaforma social, cediamo una parte di noi all’azienda che l’ha sviluppata: dati sulla nostra data di nascita, sulla città in cui viviamo e su ciò che facciamo ogni giorno.

Altri tipi di dati, pur sempre riguardanti le nostre abitudini, vengono ceduti con le app per la cucina o con i videogame per bambini. In questi casi, al momento dell’installazione, bisogna sempre controllare quali autorizzazioni richiedono per funzionare. Se chiedono il permesso per usare il microfono oppure accedere al GPS, ragionate se l’applicazione ne abbia veramente bisogno. In realtà è solo un modo per ottenere più dati possibili su di noi.

Come difendersi?

La risposta più semplice è non installare certe applicazioni, ma non sempre è possibile per motivi di lavoro o personali. Occorre dunque leggere con attenzione le autorizzazioni che ci vengono richieste durante l’installazione. Se sono troppe o non sono in linea con le funzionalità dell’app, basta negarli. Un’operazione semplice ma efficace. “La cultura digitale andrebbe insegnata dalla prima media e non parlo di come funziona uno smartphone, ma dei sistemi sociali, politici ed economici che sono alle spalle”, ha concluso Soro.

Fonte immagine www.ilfattoalimentare.it