Bancarotta fraudolenta e fallimento, il crac di Banca Base a Catania: i DETTAGLI dell’operazione

Bancarotta fraudolenta e fallimento, il crac di Banca Base a Catania: i DETTAGLI dell’operazione

CATANIA – Su delega della Procura della Repubblica, i finanzieri del comando provinciale della Guardia di Finanza di Catania e del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria hanno dato
esecuzione a un’ordinanza di misure cautelari emessa dal G.I.P. del Tribunale etneo nei confronti di Pietro Bottino, di 63 anni e Gaetano Sannolo di 47 anni (agli arresti domiciliari) indagate, in concorso con altri 18 soggetti, per bancarotta fraudolenta, falso in prospetto, ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza e aggiotaggio per fatti attinenti allo stato d’insolvenza della “Banca Sviluppo Economico s.p.a.” (Banca BASE), dichiarato dal Tribunale civile di Catania nel dicembre 2018 (pronuncia poi confermata in appello nell’aprile 2019).

L’investigazione, condotta dal Nucleo di Polizia Economico- Finanziaria di Catania (Gruppo Tutela Economia) e dal Nucleo Speciale di Polizia Valutaria (Gruppo Tutela del Risparmio), coordinata dalla Procura Distrettuale di Catania, ha consentito di tracciare la perpetrazione ripetuta di illecite condotte operate dalla governance della banca etnea finalizzate a rappresentare una situazione patrimoniale non corrispondente alla realtà, compiendo, al contempo, operazioni finanziarie anti-economiche e dissipative del patrimonio societario anche in dispregio dei vincoli imposti dalla normativa di settore e dall’Autorità di Vigilanza.

Banca BASE  è nata nel 2007, con la sottoscrizione del capitale da parte di 226 soci fondatori. Nel febbraio del 2009, con l’apertura degli sportelli di Catania e Misterbianco (CT), Banca BASE ha iniziato a esercitare l’attività bancaria. Nel corso del suo decennio di vita, l’istituto di credito è stato sottoposto a quattro attività ispettive di Bankitalia, dalle quali, sin dall’inizio, era possibile desumere concrete difficoltà nella realizzazione del progetto industriale, per il mancato sviluppo di adeguati volumi operativi in grado di sostenere la redditività, quest’ultima subito fortemente incisa da perdite su crediti. Le quattro ispezioni dell’Autorità di vigilanza (2010, 2013, 2015-2016, 2017-2018), conclusisi con giudizi progressivamente sempre più  sfavorevoli, con la comminazione di sanzioni amministrative a carico degli organi direttivi e con l’imposizione di prescrizioni di salvaguardia (mai osservate), hanno fotografato una Banca in cattivo stato di salute, caratterizzato dall’imprudente e spregiudicata concessione di prestiti e affidamenti in assenza di garanzie reali e da apporti partecipativi sempre poco trasparenti.

Già nel giugno 2016, Bankitalia ha imposto a Banca BASE di avviare un piano di ripatrimonializzazione, attraverso l’intervento di partner bancari di adeguato livello e, nel frattempo, ha vietato l’erogazione di nuove linee di credito e l’ampliamento di quelle esistenti. I richiami di Bankitalia sono stati completamente disattesi e, all’esito dell’ultima ispezione, è stata la stessa Authority che ha richiesto  e ottenuto il commissariamento dell’Istituto bancario catanese, decretato dall’Assessorato Economia, Finanze e Credito della Regione Siciliana in data 13 febbraio 2018.

Con l’insediamento del commissario straordinario è emersa la drammatica situazione di illiquidità di Banca BASE che portava alla sospensione, per tre mesi, del pagamento di qualsiasi passività e della restituzione di strumenti finanziari alla clientela. I duemila correntisti, addirittura, potevano prelevare presso gli ATM solo 250 euro (fatta eccezione per il denaro accreditato dopo il 14 febbraio per il cui prelievo non venivano fissati limiti).

Nello stesso periodo (aprile 2018), è stata perfezionata la cessione di tutte le attività e passività di Banca BASE a favore di Banca Agricola Popolare di Ragusa (BAPR) al prezzo simbolico di un euro, poiché la massa debitoria stimata in 4,5 milioni di euro è stata ripianata con risorse provenienti dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, e  l’apertura della liquidazione coatta amministrativa.

Come già accennato, il Tribunale Civile di Catania, in accoglimento dell’istanza del commissario liquidatore, in data 24 dicembre 2018, ha dichiarato lo stato di insolvenza di Banca BASE poi confermato in appello con sentenza dell’aprile del 2019. Lo stato passivo depositato di Banca BASE ammontava ad oltre 38 milioni di euro.

Le investigazioni delle Fiamme Gialle –  che consistono nell’esecuzione di perquisizioni presso le sedi e i domicili dei soggetti coinvolti nonché di intercettazioni telematiche e di analisi
documentali – hanno messo in luce una serie di operazioni commerciali fasulle, non rispondenti alle ordinarie logiche economiche, funzionali a un mero “abbellimento” dei bilanci e concretamente idonee a minare l’integrità del patrimonio di Banca BASE. Tra queste, esemplificativamente, si riportano le seguenti:

  • una cessione di una partita di crediti, ormai “carta straccia”, dal valore nominale di 5 milioni di euro, valutati al netto per 250 mila euro, per un corrispettivo di 300 mila euro
    a favore della società modenese, con uffici operativi a Napoli, “COOPERFIN S.P.A.”; tra le anomalie di questa vendita di crediti sofferenti, realizzata il giorno prima della
    chiusura del primo trimestre 2016, spiccano il passaggio totale dei rischi a carico della “COOPERFIN”, la quale avrebbe dovuto corrispondere un importo superiore allo stesso valore netto delle attività acquisite; in altre parole, nel bilancio di Banca BASE il portafoglio di 124 crediti sofferenti viene sostituito con un credito nei confronti della società acquirente;

 

  •  alla fine del terzo trimestre 2017, si ripete lo schema operativo appena descritto: una nuova cessione (“pro-soluto”) di crediti deteriorati, dal valore nominale di 670 mila euro al prezzo di 450 mila euro, a favore di una società sprovvista di consistenza patrimoniale, la “PROTEBÉ S.P.A.”; solo in parte, i componenti degli organi amministrativi e di controllo hanno segnalato l’esistenza di molteplici conflitti di interesse: amministratori e sindaci di Banca BASE ricoprivano medesimi incarichi nella PROTEBE’; ma l’elemento più inquietante era rappresentato dal fatto che il capitale sociale della PROTEBÉ proveniva da risorse finanziarie messe a disposizione da Pietro Bottino a favore della proprietà “formale”; tale conflitto d’interesse, mai palesato, portava Banca BASE a realizzare un’ulteriore operazione “opaca senza che il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale fossero messi a conoscenza che era in corso di realizzazione un’operazione con un soggetto collegato; ancora una volta, dunque, un maquillage dei bilanci che, nei fatti, pur eliminando dalle attività dei crediti sofferenti vedeva l’iscrizione di un credito nei confronti di una societàfiglia” dell’ex Presidente Bottino che non avrebbe mai onorato il debito contratto.

I finanzieri del Nucleo P.E.F. di Catania e del Nucleo di Polizia Valutaria di Roma hanno poi posto la loro attenzione alla palese inosservanza degli obblighi imposti da Bankitalia.
Nello specifico, attesa la rilevata eccessiva esposizione al rischio di perdite su erogazioni già concesse, l’Autorità di Vigilanza ha imposto, nel giugno 2016, il divieto a Banca BASE di “erogare ulteriore finanza” e, quindi, concedere nuovi prestiti. Dall’esame degli stessi verbali del C.D.A. di BASE, è stata, invece, rilevata la costante, ripetuta concessione di ulteriori sconfinamenti (attraverso, ad esempio, il pagamento di assegni tratti in assenza di fondi sul conto o ben oltre la capienza del fido già concesso) a favore di numerosi clienti. Tali erogazioni, malcelate in sconfinamenti e extrafidi, raggiungevano il picco di oltre un milione di euro nel maggio 2017.

Come già accennato, sempre nel giugno 2016, Bankitalia ha richiesto al management di Banca BASE di avviare un effettivo processo di ripatrimonializzazione mediante l’integrazione con un gruppo bancario di adeguato livello o attraverso l’ingresso di un qualificato investitore professionale. In quest’ambito, i due soggetti arrestati  hanno realizzato, al cospetto del C.D.A. di Banca BASE e degli ispettori di Bankitalia, la seguente messa in scena: qualche giorno prima del commissariamento, Bottino ha informato i consiglieri del C.D.A. di aver acquisito un ordine di pagamento proveniente dalla società britannica “IFINA” pari a 2,5 milioni di euro che sarebbero stati destinati alla ricapitalizzazione di BASE. La lettera in questione, priva di data e sulla cui autenticità si nutrono forti dubbi, ha visto un cittadino di nazionalità giordana, qualificato quale socio del Gruppo IFINA, disporre l’esecuzione di un bonifico del citato importo a favore della Banca catanese. L’operazione di capitalizzazione che, secondo Bottino, avrebbe messo in salvo Banca BASE, doveva realizzarsi attraverso l’intervento di una Banca degli Emirati Arabi e una società maltese.

Anche qualora una simile operazione di immissione di liquidità in Banca BASE fosse stata realizzabile, a dir poco non trasparenti apparivano i reali investitori e palese era la difficoltà di risalire ai reali possessori delle disponibilità, vista la presenza anche di soggetti collocati in giurisdizioni non cooperative (tra le quali, Cayman). A tutto questo va aggiunto l’intermediazione di un soggetto italiano gravato da precedenti specifici per attività finanziaria abusiva, truffa, appropriazione indebita, formazione fittizia del capitale e ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza, bancarotta, trasferimento fraudolento di valori nonché il rinvenimento da parte delle Fiamme Gialle di file quasi identici nel contenuto alla lettera e all’ordine di bonifico esibiti da Bottino al C.D.A., in alcune e-mail inviate (un giorno prima del C.D.A.) dal responsabile antiriciclaggio di BASE al direttore Sannolo.

Trattasi dell’ennesima operazione commerciale poco trasparente, irrealizzabile per molti versi e tesa a procrastinare la vita di un Istituto creditizio già in stato di dissesto. Nella circostanza, Pietro Bottino, addirittura, nel febbraio 2018 (un giorno prima del commissariamento) si è affrettato a replicare a un articolo stampa apparso su un quotidiano intitolato “Banca Base, c’è rischio di liquidazione coatta – ultima ispezione di Banca d’Italia e dimissioni da parte dell’organo di controllo gettano ombre sull’istituto di Bottino”: quest’ultimo è arrivato ad affermare che le informazioni contenute nel citato articolo erano “… oggettivamente destituite di fondamento e atte, per la gravità intrinseca dei contenuti, a produrre un effetto
destabilizzante per l’attività istituzionale di banca BASE, in considerazione dell’idoneità a minare il rapporto di fiducia con la clientela e l’azionariato e a turbare il mercato”,
rassicurando, quindi, la clientela e l’azionariato che “… sono avvenuti, sotto l’attuale gestione, due distinti aumenti di capitale a dimostrazione dell’affidabilità dell’istituto, mentre è in dirittura d’arrivo una nuova operazione di ripatrimonializzazione mediante l’intervento di investitori internazionali.

Ulteriore condotta illecita attribuita all’allora presidente di Banca BASE, Pietro Bottino, si è concretizzata nella redazione e presentazione in CONSOB del prospetto di offerta, documento contenente dati patrimoniali di rilievo per orientare le scelte degli investitori e propedeutico all’aumento di capitale imposto dall’Autorità di Vigilanza dopo che lo stesso, per effetto di perdite su crediti, era sceso sotto la soglia dei 10 milioni di euro. In tale prospetto, Bottino, ricevuto mandato dal C.D.A., ha indicato un valore sovrastimato dei fondi propri della Banca così traendo in inganno gli eventuali finanziatori di capitale proprio.

A tale rappresentazione ingannevole va aggiunto che, nel corso di un’ispezione di Bankitalia, sono state individuate varie posizioni creditizie per le quali Banca BASE non aveva applicato  sufficienti e prudenziali accantonamenti, così comunicando alle autorità del settore dati non veritieri, ostacolandone le funzioni di vigilanza.

Da ultimo, la sottoscrizione di nuovi azionisti nel 2015 è avvenuta prevalentemente a Roma e non a Catania come autorizzato dalla CONSOB: addirittura, per eludere tale vincolo, i modelli di sottoscrizione riportavano falsamente quale località Catania e non Roma; in altre parole, si realizzava un’offerta di titoli fuori sede abusiva.

La celere e meticolosa investigazione economico-finanziaria degli specialisti della Guardia di Finanza ha dunque definitivamente fatto luce sulle responsabilità e le ragioni del fallimento dell’istituto creditizio catanese sulla cui operatività avevano mal posto la loro fiducia imprese e risparmiatori.