Le challenge e il fenomeno virale, quando il web promuove il pericolo: “C’è la forte tentazione di essere protagonisti per un momento”

Se si cerca sul dizionario della lingua italiana il significato dell’aggettivo “virale” troveremo scritto: “Che si diffonde in modo particolarmente veloce e capillare, specialmente utilizzando i nuovi mezzi di comunicazione“.

Il termine sopracitato, dunque, è strettamente collegato ai mezzi di comunicazione del 21esimo secolo. Ormai, per trasformare un qualsiasi contenuto (audio, video, fotografie ecc.) da fenomeno di nicchia a fenomeno di massa (quindi farlo diventare virale) basta un click, una condivisione su di un social e l’attenzione dell’utenza di massa.

Tra i tanti contenuti (costruttivi e non) storicamente diventati virali c’è una categoria in particolare che ha attirato, e continua ad attirare, l’attenzione del web mondiale: le challenge. Queste sfide, spopolate principalmente sulla piattaforma di condivisione video Youtube, sono varie, semplici, veloci e immediate.

Forse è proprio questa immediatezza che le ha fatte spopolare nel corso degli anni. La più recente e famosa del momento è stata sicuramente la “Samara Challenge“, sfida che ha causato un’ondata incontrollata di emulazioni e polemiche, dato il carattere horror e la pericolosità causata dal fatto di andare a spaventare la gente ignara della cosa.

Una challenge che ha causato, il più delle volte, reazioni spropositate anche delle vittime dello scherzo. C’è chi è arrivato alle mani a causa di questo scherzo di cattivo gusto. Nonostante ciò, la “Samara Challenge” è una delle tante sfide diventate virali grazie al web. Ma come è possibile che un fenomeno del genere, sicuramente partito da una singola persona, o comunque da un gruppo ristretto di gente, sia diventato così famoso tanto da attirare l’attenzione dei media e da causare la nascita di una vera e propria moda caratterizzata da milioni di emulatori?

A rispondere a questa domanda ci ha pensato il professore di Sociologia della Comunicazione dell’Università di Messina, Marco Centorrino: “Va premesso che, specie negli ultimi tempi, si è abusato del termine ‘virale’. Le challenge, così come altre forme testuali e audiovisive, sfruttano soprattutto il cosiddetto effetto echo chamber, garantito in particolare dai social network. Letteralmente, camere dell’eco che funzionano non soltanto per fare ‘rimbalzare’ i contenuti, aumentandone così la diffusione, ma anche in termini confermativi. Provando a semplificare la dinamica, l’utente dei social, metaforicamente, si trova in uno spazio – le echo chamber, appunto – in cui vede riproporsi continuamente un messaggio: la stessa foto o video, infatti, viene magari postata da più persone appartenenti alla sua cerchia di contatti e ciò innesca una moderna ‘catena di S. Antonio‘. A quel punto, attirerà facilmente l’attenzione e diventerà virale”.

Insomma, con i tempi che corrono è più facile che un qualsiasi contenuto pubblicato sul web, anche di cattivo gusto, come la sopracitata “Samara Challenge”, sia notato dal grande pubblico, ma è anche vero che tendono a diventare realmente virali sfide e video più pericolose e incoscienti, piuttosto che contenuti più “sani”: “Le challenge hanno una dimensione ludica che non va sottovalutata – ha proseguito Centorrino -. Alcune, magari, appaiono a uno sguardo più adulto e maturo semplicemente come delle sfide cretine, mentre per un adolescente possono avere un profilo divertente. Quelle che noi definiamo più ‘sane’, al contrario, possono sembrare ad altri maggiormente noiose. Se pensiamo, per esempio, alla ‘Samara Challenge’, possiamo facilmente ricollegarla a certe bravate goliardiche a cui partecipavamo da bambini, ma che non replicheremmo mai dopo tanti anni. Purtroppo, però, occorre evidenziare come nella dimensione della rete, scompaia o, comunque, venga fortemente diluito il profilo di rischio di alcune di queste sfide. Ciò perché, specie le nuove generazioni, sono abituate a quella cultura dell’iper-reale tipica del videogioco: dare vita ad azioni le cui conseguenze non appaiono mai irreversibili. Proprio come in un videogame, dove anche se guidi una macchina e ti schianti contro un muro, basta premere un bottone per ricominciare“.

L’incoscienza causata dalla noia e dalla confusione tra gioco e realtà, un problema attuale e serio che porta le persone a non riconoscere più i limiti e a superarli inconsapevolmente, a causa di alcuni meccanismi che, col tempo, sono così tanto cambiati da far perdere il lume della ragione a una certa fetta di utenza online. Ma non è solo questo che causa il diffondersi di sfide stupide e pericolose.

Tra i tanti fattori spicca il concetto di popolarità e consenso che gira intorno al mondo del web. Il professore Centorrino, in tal senso, ha dichiarato: “La possibilità di essere protagonisti, anche solo per un momento, costituisce una forte tentazione. Già nel 2008, per esempio, avevo condotto una ricerca su un campione di adolescenti, dalla quale emergeva l’importanza per i digitali nativi del concetto di capitale sociale. In estrema sintesi, i più giovani – ma non solo – all’interno dei social network conquistano consenso, si fanno conoscere, estendono la propria rete relazionale. Ciò consente loro, poi, di capitalizzare tutto questo in una dimensione off-line, magari convertendo lo stesso capitale sociale in capitale economico“.

Anche la sete di fama e, conseguentemente, di denaro porta certi utenti a varcare la soglia immaginaria del buon senso, ma non è sempre tutto rosa e fiori: “Così come determinati contenuti si diffondono rapidamente, essi scompaiono con altrettanta velocità. La curva della popolarità, nel panorama del web, si esaurisce molto più velocemente che in altri contesti. Basti pensare al fatto che molte challenge concludono il proprio ‘ciclo di vita’ nel giro di una o, al massimo, un paio di settimane. Va aggiunto, poi, che i media generalisti, molte volte, garantiscono un’ulteriore cassa di risonanza (attraverso articoli e servizi televisivi) ad alcuni fenomeni, finendo così per allungarne la durata“.

Insomma, una fama ingannevole verrebbe da dire, ma che, in qualche modo, soddisfa e appaga i più, che mettono da parte le conseguenze delle loro azioni pur di avere i famosi “15 minuti di notorietà“. Ma c’è anche da dire che non tutto è perduto. Virale non è solo la “Samara Challenge”, o altre simili. Virali lo sono stati, e continuano a esserlo, altri contenuti divertenti e, magari, costruttivi, anche se in maniera minore.

Per invertire il trand negativo, però, bisogna avere dei punti di partenza. E se la partenza fosse proprio la challenge più criticata e chiacchierata dell’estate? Il professore Centorrino ha concluso la sua intervista con una piccola proposta, breve, ma ricca di significato, che lascia degli ottimi spunti di riflessione sull’argomento challenge e diffusione sul web: “Partiamo proprio dalla “Samara Challenge“. Al di là dei giudizi di valore che possiamo attribuirle, c’è indubbiamente una componente di creatività. Si basa su un contenuto popolare (un blockbuster qual è stato il film ‘The Ring’); prevede un coinvolgimento almeno di un piccolo gruppo (c’è chi deve realizzare il filmato, chi partecipa alla fase del travestimento, ecc.). Sono elementi che possono essere sicuramente sfruttati per altre iniziative, di carattere diverso e con obiettivi differenti“.

La speranza c’è, i contenuti “sani”, ma allo stesso tempo divertenti, possono essere tranquillamente creati. Sta tutto in un cambio di mentalità di tutta l’utenza, la quale dovrebbe porre più attenzione su cosa promuovere e cosa evitare. È inutile demonizzare la challenge. D’altronde, il cambiamento non si affronta attaccando, ma analizzando il problema alla radice e trovando delle soluzioni concrete. Il divertimento, ovviamente, ci sta ed è una parte fondamentale della vita di tutti i giorni, ma ci vuole, come sempre, buon senso e attenzione. Il web, purtroppo, è un’arma che, come tale, deve essere usata con estrema cura e attenzione.

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