Cassazione: via libera alla telemedicina, che non va autorizzata se non implica attività sanitaria

Cassazione: via libera alla telemedicina, che non va autorizzata se non implica attività sanitaria

La Cassazione, terza sezione penale, definisce un importante passo avanti nell’ambito della medicina. Con sentenza n. 38485/2019 la Corte Suprema ha stabilito che un centro sanitario può avere molte postazioni esterne dotate di strumenti per praticare Telemedicina (come la Teleassistenza, la Telesalute, la Televisita, il Teleconsulto ecc.). Queste postazioni, non esercitando attività sanitaria in senso proprio, non hanno bisogno di alcuna autorizzazione per svolgere le loro mansioni.

Ma partiamo dall’inizio: cos’è la Telemedicina?

La Telemedicina è l’insieme di tecniche mediche ed informatiche che permettono la cura di un paziente a distanza o più in generale di fornire servizi sanitari a distanza. Viene impiegata in situazioni in cui il medico e il paziente non si trovano nella stessa località e comporta la trasmissione sicura di informazioni e dati di carattere medico nella forma di testi, suoni, immagini o altre forme necessarie per la prevenzione, la diagnosi, il trattamento e il successivo controllo dei pazienti. Essa permette a chiunque di sottoporsi a visite e controlli anche nei luoghi di lavoro o in posti abitualmente frequentati, come i centri commerciali. Il medico che riceve i dati, esegue poi una diagnosi e redige un referto, che trasmette a sua volta al paziente per via telematica.

La nostra storia…

La Health Italia S.P.A, un’azienda molto attiva nel settore della salute con sede a Roma, dopo aver analizzato con grande attenzione le Linee di indirizzo Nazionali sulla Telemedicina, ha installato alcuni Health Point nei centri commerciali e nelle zone centrali delle maggiori città italiane, collegati ad un centro sanitario privato, Eugheia, che offre prestazioni sanitarie in telemedicina in tutta Italia. In questi Health Point un infermiere aiutava i pazienti nella raccolta dei dati anagrafici e dei parametri clinici, poi trasmessi ai medici del centro sanitario. Ciò attraverso apparati non invasivi e spesso di autodiagnosi, utilizzabili cioè direttamente dal paziente.

Dunque uno strumento importante, ma…

I Carabinieri dei NAS e le autorità delle regioni in cui si trovavano gli Health Point, ne sequestrano alcuni in una regione e ne multano altri in un’altra regione. Motivo? Si tratterebbe di centri sanitari non autorizzati. Immediato il ricorso in Cassazione della Health Italia S.P.A. per ottenere la revoca del sequestro. Secondo l’azienda gli Health Point non sono centri sanitari, ma centri servizi collegati con un centro sanitario privato, regolarmente autorizzato: Eugheia, che i NAS hanno trovato corrispondente alle regole regionali.

La decisione

Per la Cassazione non ci sono dubbi: gli Health Pointnon devono avere l’autorizzazione spettante ad un centro sanitario. Ecco perché: “presso l’Health Point, ove viene semplicemente raccolto il dato anamnestico che non viene assolutamente elaborato, non può dirsi che sia stata eseguita alcuna prestazione “tipicamente sanitaria”, posto che l’unica attività sanitaria nella presente occasione realizzatasi – in cui non vi è stato alcun atto medico in senso stretto ai fini della acquisizione del dato anamnestico essendo stato questo assunto attraverso strumenti (non comportanti alcuna invasione della integrità fisica del soggetto interessato) che il paziente avrebbe potuto utilizzare anche autonomamente – è quella diagnostica, consistente nell’esame dei dati pervenuti in via telematica e nel giudizio clinico da essi retraibile, la quale è stata integralmente compiuta presso il ricordato ambulatorio polispecialistico Eugheia, la cui operatività è stata regolarmente autorizzata dagli organi a ciò competenti”. Pertanto, non praticando attività sanitaria in senso proprio, il Point non necessitava della stessa autorizzazione di cui necessita un centro sanitario.