Consenso informato: non basta la firma su un modulo prestampato e generico

Consenso informato: non basta la firma su un modulo prestampato e generico

Per il consenso informato non basta più la firma su un modulo prestampato e generico: a deciderlo la Corte di Cassazione, terza sezione civile, con sentenza n. 23328/2019, secondo cui il consenso espresso dal paziente su un modulo prestampato e generico vìola tanto il suo diritto alla salute quanto il suo diritto alla libertà di autodeterminazione. E in caso di intervento riparatorio, non è il malato a dover provare che non si sarebbe sottoposto all’operazione se adeguatamente informato.

Il caso

Davanti al Tribunale di Firenze una paziente chiedeva il risarcimento dei danni patrimoniali a un medico dichiarando di essere stata convinta dal sanitario ad operarsi, nonostante un quadro clinico non preoccupante (emorroidi di secondo grado), prospettando un intervento non impegnativo. A tal fine prestava il consenso informato su un modulo prestampato e generico.
Nel corso dell’operazione si verificava un’imponente emorragia, che richiedeva altri due interventi chirurgici. Interventi che, questa volta, avvenivano senza la preventiva acquisizione del consenso informato della paziente. In primo grado il medico veniva, dunque, ritenuto responsabile dei danni causati alla paziente e, per questo, condannato dal Tribunale di Firenze al pagamento di 42.055 euro in favore della donna (che venivano liquidati dall’assicuratore del sanitario).

Quest’ultima, però, impugnava la sentenza davanti alla Corte d’Appello di Firenze, lamentando che il tribunale non aveva tenuto conto, tra le altre cose, della mancanza del consenso informato della paziente ai fini degli interventi chirurgici successivi al primo. La Corte, in parziale accoglimento dell’appello della donna, condannava il medico al pagamento dell’ulteriore somma di 6.549 euro, ma, in accoglimento dell’appello incidentale dell’assicuratore, che chiedeva la riduzione delle somme liquidate, condannava la paziente a restituire a quest’ultimo 34.665,72 euro.

Tempestivo il ricorso in Cassazione della stessa.

La decisione

Secondo la Cassazione sbaglia la Corte d’Appello quando ritiene di poter estendere il consenso espresso per iscritto anche alle operazioni successive alla prima. Consenso peraltro espresso, nel caso in esame, su un modulo prestampato e generico, che non ha informato affatto in maniera dettagliata la paziente sui risultati conseguibili dopo l’intervento e sulle possibili conseguenze negative. Senza contare che, se il malato torna sotto i ferri, non grava su di lui l’onere di dimostrare che, se adeguatamente informato, non si sarebbe sottoposto all’intervento riparatorio.

Ecco le ragioni della decisione:

“In tema di attività medico-chirurgica – spiega la Corte – il consenso informato deve basarsi  su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell’intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative, non essendo idonea la sottoscrizione da parte del paziente di un modulo del tutto generico.

Inoltre, nel caso di specie, visto il carattere riparatorio degli interventi successivi al primo, la preventiva informazione doveva essere ancora più pregnante, dovendosi tradurre in ‘comunicazioni dettagliate e specifiche‘ al fine di consentire alla paziente di conoscere gli esatti termini della patologia determinata dai pregressi interventi […] Pertanto le peculiari caratteristiche dell’obbligo di informazione risultano del tutto incompatibili con le generiche indicazioni fornite dai sanitari prima del primo intervento per come accertate dai giudici di merito”.

E ancora: “La violazione da parte del medico del dovere di informare il paziente può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; e un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale, diverso dalla lesione del diritto alla salute”.

E infine: “Dal carattere riparatorio degli interventi successivi al primo e dall’esito non risolutivo degli stessi deriva che l’onere di dimostrare che, se adeguatamente informata, la paziente avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento non ricade su quest’ultima. Tale principio opera nell’ipotesi, non ricorrente nel caso di specie, di intervento correttamente eseguito”.

La Cassazione quindi cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, rinviando la causa alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione.