Operazione “Stella Cadente”, 500 “leoni” pronti a scatenare guerra di mafia: i DETTAGLI sull’ala violenta della Stidda -VIDEO

Operazione “Stella Cadente”, 500 “leoni” pronti a scatenare guerra di mafia: i DETTAGLI sull’ala violenta della Stidda -VIDEO

GELA – L’indagine denominata “Stella Cadente dimostra l’attuale esistenza e operatività dell’associazione mafiosa della Stidda nel territorio di Gela, associazione armata di spiccata pericolosità sociale. Emblematiche in questo senso risultano le intercettazioni in cui Vincenzo Di Giacomo affermava che, qualora si fosse profilata l’ipotesi di fronteggiare il clan rivale di Cosa Nostra, la Stidda poteva disporre di “500 leoni”, ossia di 500 uomini armati che avrebbero potuto scatenare l’ennesima guerra di mafia.

Le indagini hanno consentito di fotografare, con particolare evidenza, l’ala violenta del clan, ricostruendo plurime condotte estorsive poste in essere ai danni di commercianti e imprenditori, anche avvalendosi di seriali atti di attentati incendiari diretti ai commercianti riottosi o poco propensi a sottomettersi al loro volere; alcuni di questi stessi imprenditori hanno trovato il coraggio di denunciare le estorsioni subite agli Uffici di Polizia grazie al sostegno del presidente dell’associazione antiracket di Gela, Renzo Caponetti.

Tra gli odierni stiddari arrestati, Vincenzo Di Maggio rivestiva la funzione di autista e di ambasciatore del boss Bruno Di Giacomo, promanando gli ordini di quest’ultimo agli altri sodali presenti sul territorio. Di Maggio godeva quindi dell’incondizionata fiducia di Di Giacomo Bruno e Giovanni e dello storico stiddaro Filippo Scerra, i quali, grazie alle ambasciate che veicolavano tramite Di Maggio, non avevano la necessità di mettersi in contatto e di incontrarsi quotidianamente, riducendo così il rischio di essere esposti a indagini di polizia. Di Maggio, inoltre, faceva parte anche dell’ala imprenditoriale del clan, avendo assicurato il proprio contributo nella gestione di attività economiche controllate dall’organizzazione mafiosa, risultando preposto alla gestione della discoteca Malibù, che era sotto il completo controllo degli stiddari.

Di Maggio non disdegnava di occuparsi anche del fiorente traffico di droga della consorteria, così come Alessandro Scilio e Gaetano Marino, che sono stati sin da subito particolarmente attivi nel settore degli stupefacenti anche prima della scarcerazione dei fratelli Di Giacomo, i quali, comunque, tornati in libertà, hanno ripreso subito le redini del traffico di droga, che costituiva un’importantissima fonte di reddito per la consorteria, da riciclare in altre attività economiche apparentemente lecite.

E in effetti, quando i fratelli Di Giacomo erano ancora in carcere, sin dal 2012 la consorteria era riuscita a strutturare un imponente traffico di stupefacenti anche con importanti trafficanti napoletani, gestito da Scilio, Di Maggio e Massimiliano Tomaselli; mentre, dopo la loro scarcerazione, i fratelli Di Giacomo hanno ripreso, con sorprendente dinamismo, il controllo del traffico degli stupefacenti, avvalendosi sempre di Gaetano Marino, Alessandro Scilio e Vincenzo Di Maggio che, ovviamente, riconoscevano la leadership mafiosa dei Di Giacomo, sottostando ai loro ordini.

In poco tempo, la Stidda ha intessuto rapporti con importanti piazze siciliane dello spaccio come quella di Palermo, Catania e Vittoria, dove sono stati individuati alcuni fornitori e corrieri nelle figure di Luciano Guzzardi, Gianluca Parisi, Giovanni Traina e Mirian Ajdini, ma anche con piazze di spaccio torinesi.

Giuseppe Alessandro Antonuccio, Giuseppe Antonuccio inteso “Pallina”, Filippo Scerra, Emanuele Lauretta, 36 anni, hanno, invece, fornito il proprio contributo alla Stidda per la custodia e occultamento sia della droga sia delle armi a disposizione del clan, essendo stati coinvolti nella gestione dei covi stiddari di via Tucidide dove, nel luglio del 2016, furono rinvenuti 13 chili di hashish e marijuana e una pistola cal. 75, e di via dei Mille dove, nel novembre dello stesso anno, furono trovati 52 chili di hashish, un chilo di cocaina e una pistola semiautomatica con matricola abrasa.

Un altro covo a disposizione della Stidda è stato scoperto in via Solferino, dove Giuseppe Nastasi deteneva e spacciava droga per conto della consorteria; era Nastasi che, con la collaborazione di Rosario Marchese, gestiva le operazioni di deposito su suoi conti correnti, del danaro provento dell’attività di spaccio, che era poi riutilizzato per l’acquisto di altro stupefacente o riciclato da parte dello stesso Marchese a favore della consorteria.

Simultaneo blitz è stato condotto anche dalla Squadra Mobile di Brescia che, coordinata dalla locale D.D.A., ha accertato la costituzione di un sodalizio mafioso operante prevalentemente in Lombardia e Piemonte del quale fanno parte alcuni esponenti della Stidda, finalizzato principalmente alla commissione di un numero indeterminato di reati sia in materia fiscale (in particolare indebite compensazioni mediante utilizzo di crediti fittizi) sia contro la pubblica amministrazione (in particolare corruzione di pubblici ufficiali) e a riciclare i proventi illeciti.