Ansia e depressione, l’evitamento come “protezione” e le relazioni interpersonali

Ansia e depressione, l’evitamento come “protezione” e le relazioni interpersonali

Un senso di “vuoto”, come in un tunnel buio senza via d’uscita. È la sensazione provata dalle milioni di persone che soffrono di ansia o depressione. Si tratta di una condizione difficile, che affligge più o meno direttamente anche parenti e amici, costretti a convivere con il problema per aiutare chi vogliono bene a superare un momento difficile.

Non è una missione facile, perché problemi psicologici di questo tipo mettono in moto meccanismi di “auto-difesa” che portano all’allontanamento da ciò che può scatenare la “negatività” interiore. Lo conferma la psicologa clinica Livia Longo: “Chi soffre di ansia, sia come disturbo che come sintomi, o di depressione mette in atto una modalità di risposta alla vita: l’evitamento, che non riguarda solo le relazioni interpersonali ma anche il modo di vivere con l’esterno. Si evita tutto ciò che possa attivare il fattore ansiogeno o, nello stato depressivo, più in generale il contatto con l’esterno”.

Naturalmente ansia e depressione presentano delle diversità. Rispetto alla prima, per esempio, la seconda è caratterizzata da uno stato di “inerzia” maggiore, che rende molto difficile mantenere rapporti interpersonali e reagire agli stimoli provenienti dall’esterno: “Nel tratto ansioso è più ‘facile’ stabilire e mantenere delle relazioni amichevoli, perché chi soffre d’ansia tende a trovare delle ‘strategie’ per ovviare al proprio stress o tumulto interiore. Con lo stato depressivo è più complesso, perché la passività di chi ne soffre porta le persone attorno a lui/lei a essere molto angosciate e a reputarsi quasi ‘infermieri’. Per questo per stare vicino a un depresso serve molta forza”, commenta la dottoressa Longo.

Di fronte a un comportamento “altalenante”, l’allontanamento può essere una conseguenza. Chi soffre tende a chiudersi in se stesso nonostante abbia bisogno degli altri, convinto che nessuno possa comprendere. Avere intorno gente che “banalizza” il dolore, situazione che purtroppo spesso si presenta, non aiuta. Alcune frasi di circostanza rischiano perfino di attivare un meccanismo di protezione e auto-isolamento nella persona sofferente: “Il disagio, come il dolore, è molto soggettivo. Talvolta non si riesce a capire quanto per l’altro sia terribile quello stato e si tende a minimizzarlo. Dicendo ‘Dai, non fare così’, ‘Non ci pensare’ e cose simili, cerchiamo di ‘tirare su il mondo’ anche se in realtà per chi soffre il mondo è crollato, spiega la psicologa.

L’allontanamento non è una situazione voluta. A volte risulta l’unico modo per evitare di coinvolgere gli altri nella propria sofferenza o di dover comunicare uno stato emotivo che le parole non possono descrivere totalmente: “Spesso l’ansioso o il depresso allontana gli altri perché non si sente capito. Talvolta l’isolamento fa parte del quadro diagnostico, come la passività. Chi ha attacchi di panico ha sempre il timore o la sensazione di rovinare una giornata o una serata con una crisi improvvisa durante un momento di allegria. Si preferisce stare in casa per evitare di far soffrire o ‘deludere’ gli altri o di dare spiegazioni, visto che è molto difficile narrare il proprio dolore.

La solitudine non è ciò che gli ansiosi e i depressi temono maggiormente. Quello che li terrorizza, in realtà, è rimanere soli con il loro disturbo per sempre e non poter avere relazioni interpersonali normali a causa di esso. Una vita intera con il timore di uscire, di lavorare, di mettersi in gioco… Un incubo che logora interiormente l’individuo: La paura è che l’ansia o la depressione non se ne vada mai. Questi disturbi non riguardano tanto il sociale, quanto la profondità dell’io. Chi soffre si accorge della solitudine, perché evitando la genera. Essa, però, non è percepita tanto come abbandono (‘Gli altri mi hanno lasciata sola’), ma come il frutto di una reazione a catena generata dal proprio malessere personale – afferma la psicologa Longo – La paura, quando si prende consapevolezza del proprio stato, è che esso possa ostacolare qualsiasi forma di rapporto”.

Quando si hanno sostenitori al proprio fianco, può verificarsi anche qualcosa di diverso dall’allontanamento: la nascita di una dipendenza. A fare da “collante” nel rapporto tra il singolo e gli altri, però, non è solamente l’affetto, bensì la necessità di aiuto. Si tratta di una condizione complessa, che depressi e ansiosi affrontano in maniera diversa e che va valutata soggettivamente: “Chi ha una forte ansia spesso si trova a dare inizio a una piccola ‘dipendenza’ quando un amico cerca di dare supporto. Non si tratta però di una dipendenza affettiva, bensì di una dipendenza ‘da aiuto’. È come se, con l’ansia, venisse a mancare un arto o una parte di esso e l’amico diventasse una sorta di ‘sostituzione’ di quell’arto e servisse necessariamente per colmarne l’assenza. Per chi soffre di depressione, invece, la situazione è diversa, molto più complessa: per loro, infatti, è necessario avere qualcuno accanto, altrimenti è difficile sopravvivere”.

Che le alterazioni dell’umore siano problematiche sotto tanti punti di vista è evidente. Le difficoltà, però, non riguardano solo chi soffre, ma anche chi osserva dall’esterno e cerca di aiutare. Ogni disturbo naturalmente è a sé, ma esistono alcune “linee-guida” che possono essere utili, soprattutto di fronte a una crisi. La dottoressa Longo ne rivela alcune: “Anche una cosa apparentemente banale può attivare nella persona uno stato di agitazione tale da farla ‘scoppiare’ come una pentola a pressione. Gli unici consigli che gli esperti possono dare è di non sminuire mai ciò che la persona sente e di evitare le frasi fatte (‘Dai, ora ti passa’, ‘Stai tranquilla’). È sempre meglio prendere consapevolezza, assieme alla persona sofferente, di ciò che sta accadendo e ‘stare nell’ansia’ con lei fino a quando non passa. Cercare di tranquillizzare è inutile, perché così la crisi ansiogena rischia paradossalmente di alimentarsi”.

Altro consiglio fondamentale è quello di rivolgersi a figure professionali competenti in caso si riveli necessario: “Si prende coscienza della propria ansia/depressione innanzitutto osservando i sintomi, compresi attacchi di panico e/o alcuni malesseri fisici (il nostro corpo ci dice tanto). Quando questi non ci fanno godere anche solo al 70% la vita di tutti i giorni, bisogna chiedere aiuto. Come gestire la situazione? Se non si conosce uno psicologo, si può andare dal medico di base per un consiglio. Con lo psicologo poi si può iniziare un percorso di terapia personalizzato. L’esperto sceglierà se collaborare con uno psichiatra, in caso la persona mostri un disturbo avanzato e necessiti di un sostegno farmacologico”.

E per quanto riguarda le persone care? “A loro si richiede molta pazienza. Ci sono casi in cui durante il percorso terapeutico si organizzano incontri con i familiari per ‘educarli’ a gestire la potenza con cui le problematiche vengono fuori nella quotidianità”, spiega la psicologa Livia Longo, confermando che il supporto di famiglia e amici, con l’aiuto terapeutico del professionista, può essere un ottimo inizio per aiutare la persona sofferente a tornare nel miglior stato di salute possibile.

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