Body shaming, violenza psicologica e sessismo, le donne sempre il bersaglio. Anna Agosta (Thamaia Onlus): “Serve rivoluzione culturale”

Body shaming, violenza psicologica e sessismo, le donne sempre il bersaglio. Anna Agosta (Thamaia Onlus): “Serve rivoluzione culturale”

CATANIA – Sta diventando di uso sempre più comune il termine body shaming, sintesi di un atteggiamento attraverso il quale si offende e si deride un individuo per il suo aspetto fisico. Come spiegato recentemente, il principale bersaglio di questo comportamento dispregiativo sono le donne, spesso aggredite sui social da utenti apparentemente senza volto per distruggere e smembrare la figura femminile, da sempre ostacolata da una società di stampo patriarcale.

Ultimo esempio di questa infinita persecuzione è stata l’ondata di commenti denigratori nei confronti del ministro per le politiche agricole, alimentari e forestali, Teresa Bellanova, giudicata per il suo modo di vestire. La risposta alle osservazioni di cattivo gusto è però arrivata immediatamente, con un tweet mordace e intelligente.

L’ha buttata anche sull’ironia, stiamo parlando di una donna di estrema competenza per il lavoro che è chiamata a fare“, racconta a NewSicilia Anna Agosta, presidente dell’associazione Thamaia Onlus, centro antiviolenza catanese che da anni si batte in prima linea per la difesa delle donne e per il contrasto della violenza di genere attraverso attività di prevenzione, sensibilizzazione e formazione.

Quello di Teresa Bellanova “è l’esempio di una donna attaccata per un abito, ma ci sono donne criticate perché sono ‘belle ma stupide’ e comunque in ogni caso c’è sempre un giudizio di valore, dei massacri“. “Ovviamente – prosegue Anna Agosta – questo problema del body shaming ci riguarda, siamo chiamati in causa in prima linea perché sosteniamo l’autonomia delle donne, la libertà e soprattutto combattiamo alcuni stereotipi che sono legati al mondo del lavoro e del corpo“.

Gli attacchi alle donne, comunque, non si limitano agli ambienti virtuali ma si manifestano, soprattutto, nella vita di tutti i giorni e interessano relazioni e attività quotidiane. “Una ragazzina viene presa di mira per il suo modo di vestire, magari non viene attaccata sui social e per questo facciamo un lavoro importante nelle scuole, anche di prevenzione, per aiutare le ragazzine a essere consapevoli che è sempre una forma di violenza, un attacco e una svalutazione delle donne. Da lì poi parte tutto, è uno degli aspetti che, più in là, possono caratterizzare una relazione violenta. La prevenzione nelle scuole la facciamo partendo da concetti di parità, uguaglianza e rispetto reciproco. Insieme a questi va anche il rispetto del corpo“, spiega la presidente di Thamaia Onlus.

Ma, statisticamente, sono più le giovani o le donne più avanti con l’età a finire nel calderone di questa orrenda carneficina?Non lo rileviamo ancora in maniera netta – racconta Anna Agosta – ma più in linea generale l’età media delle donne che si rivolgono ai centri si è molto abbassata. Mentre prima avevamo una fascia medio-alta dai 45 anni in su adesso abbiamo un 30% di donne dai 25 ai 45 e un 15-20% di donne molto giovani. Quest’ultime, magari, non hanno avuto ancora una relazione stabile, seppur ci sono dinamiche violente anche in relazioni del genere come controllo e possesso. La violenza, comunque, non dobbiamo immaginarla solo come quella che viene spesso raccontata come femminicidio“.

È solo un piccolo frammento che emerge, al contrario ci sono moltissime donne che subiscono solo violenza psicologica e non per questo sono meno vittime, anzi. Figurarsi una ragazzina che cresce con un concetto come quello della gelosia scambiato per amore, che il possesso è amore. Questa è la cultura alla quale siamo abituati. Già sradicare questi stereotipi culturali, non solo per le relazioni ma anche sulle donne, è veramente difficile“.

Concetti duri a morire all’interno di una società dove, fin dagli albori, è prevalsa la figura del maschio dominante alla quale, adesso, non è più accettabile sottostare. “Il nostro obiettivo finale è quello di un cambiamento culturale“, spiega Agosta. “Per noi è davvero pesante, negli ultimi giorni le cronache ci raccontano di tutto. Dal caso di Carola Rackete agli insulti sul web. Immaginiamoci se fosse stato un uomo. Oppure pensiamo alla Meloni quante ne sono state dette per la sua forma fisica durante la gravidanza. I commenti sessisti mettono in evidenza come ci sia sempre una violenza di genere, una violenza esercitata sulle donne in quanto donne. Noi puntiamo sulle giovani generazioni perché è la cultura del rispetto e della parità dovrebbe essere inculcata. Questo parte anche dalla scuola e dalla famiglia, ovviamente“.

Anche il linguaggio ha un’incidenza importante. “Il nostro linguaggio è intriso di sessismo, anche nelle imprecazioni. Perché si dice p*****a Eva? Nessuno di noi lo direbbe mai di un uomo. Alle volte ci sentiamo davvero sole in questa battaglia. Dal linguaggio passa tutto, il pregiudizio culturale viene da quello, anche nel nostro modo di scherzare. Anche delle donne“.

Fortunatamente, negli ultimi tempi qualcuno sembra voler spezzare spezzare questa radicata consuetudine, condannando le parole d’odio e gli atteggiamenti ostili. “Piccoli spiragli di cambiamento li abbiamo notati perché in molti hanno preso posizione e si sono dissociati. Un esempio è quello di Michela Murgia ma non basta assolutamente, non so ancora se c’è la piena consapevolezza e la percezione chiara che dietro c’è una forma di discriminazione.

Se si capisse che dietro l’offesa c’è anche una discriminazione alle donne in quanto donne, allora si farebbe il salto. Anche la politica stessa dovrebbe darci una mano. La stessa limitazione all’accesso alle cariche più importanti e alle carriere significano che non c’è un sostegno a quello che fanno le donne. Siamo ancora molto distanti. Speriamo – conclude la presidente di Thamaia Onlus – nelle giovani generazioni“.

Immagine di repertorio