La storia di Agata, la giovane martire venerata dai catanesi

La storia di Agata, la giovane martire venerata dai catanesi

CATANIA – Fede e devozione. In questi sentimenti di profonda ammirazione si riconosce ogni catanese che ama e venera la Santa Patrona della città.

Agata, dal greco “buona, virtuosa, nobile di spirito” è colei che ha legato il suo nome al sacrifico cristiano, in nome di un ideale di purezza e castità per amore di Dio.

La giovane martire, vissuta nel 235 DC, apparteneva ad una nobile e ricca famiglia catanese. Sul luogo di nascita, però, non c’è certezza. I documenti narrativi riportano Catania come città natale, ma altre fonti indicano origini palermitane.

La storia racconta che ancora adolescente, addirittura 15 enne, fu chiesta in sposa dal pro console Quinziano che si era perdutamente invaghito della sua bellezza.

Era il tempo della persecuzione dei cristiani e Quinziano era giunto in città con l’intenzione di fare rispettare l’editto dell’Imperatore Decio. Il diniego di Agata alle avances del pro console produsse in lui un odio cieco e rabbioso, tanto da costringere la giovane a torture di inaudita violenza.

Nel tentativo di corromperla tentò anche di convincerla attraverso l’intervento di Afrodisia, una cortigiana non certo esempio di correttezza e moralità. Agata però non vacillò mai e mantenne la sua integrità fisica e morale anche davanti alle minacce e alle torture psicologiche. Sconfitta dalla fermezza di Agata, la donna disse a Quinziano: “È più facile rammollire le pietre che piegare l’anima di questa cristiana”.

La ferma volontà di consacrarsi a Dio la portò alle più atroci sofferenze fisiche: patì l’eculeo (lo strumento di tortura a forma di cavalletto, su cui il condannato veniva tirato a forza e contorto) e il taglio delle mammelle. Fu il momento più doloroso del suo martirio, tanto che proprio in questa circostanza si narra che, con le poche forze rimaste, rimproverò il suo aguzzino dicendogli: “Empio e crudele tiranno, non ti vergogni di strappare in una donna quello che hai succhiato un giorno da tua madre?”. Fu uno dei memorabili dialoghi tra la giovane e il console ed Agata non abbassò mai il capo, uscendo sempre a testa alta da ogni conversazione con il suo aguzzino.

Nel carcere, dove era stata rinchiusa per giorni senza cibò né acqua, fu consolata e le ferite guarite miracolosamente dall’Apostolo S. Pietro che le apparve in cella. Le sofferenze non finirono perché dopo subì il martirio del rogo e dei carboni ardenti. La leggenda narra che durante questo atroce supplizio una donna la coprì con il suo velo che non bruciò. È diventato nei secoli il “Velo di Sant’Agata” di colore rosso che in diverse occasioni fermò la lava dell’Etna. L’ultimo miracolo risale al 1887, quando il velo prodigioso, portato a Nicolosi dal Servo di Dio Arcivescovo Cardinale Dusmet, fermò la lava incandescente ormai prossima alla cittadina.

Agata, vergine e martire, morì il 5 Febbraio del 251. Le sue reliquie, trafugate nel 1040 dal generale bizantino Giorgio Maniace, furono portate a Costantinopoli, dove rimasero fino al 1126. Il ritorno in città del suo corpo ha del prodigioso. Agata apparve ad un ufficiale francese, Giliberto, al quale ordinò di prendere il suo corpo e di riportarlo nella sua Catania. Dopo varie vicissitudini, le reliquie rientrarono in trionfo al Duomo di Catania, davanti alla folla festante dei catanesi che l’attendevano.

Era il 17 agosto 1126. La leggenda narra che le reliquie giunsero di notte ed i catanesi si riversarono in strada ancora in camicia da notte. Questo evento è ricordato con il “sacco bianco” indossato dai devoti nei giorni della festa. In questa data, ogni anno, a Catania si rinnova il ricordo di quella giornata.

Il Duomo di Catania è oggi la casa di Agata, dove vengono custodite all’interno del prezioso mezzobusto in argento, parte del cranio, del torace e alcuni organi interni. Dentro lo scrigno, anch’esso d’argento, invece braccia e mani, femori, gambe e piedi, la mammella e il velo.

Nei secoli sono stati innumerevoli i doni e gli omaggi preziosi resi alla Santa da illustri personaggi della storia. Dalla regina Margherita di Savoia al viceré Ferdinando Acugna, sino all’illustre concittadino Vincenzo Bellini. Il più famoso è la corona, un gioiello in oro tempestato di pietre preziose, donato da Riccardo Cuor di Leone, durante il passaggio in Sicilia in viaggio per la crociata. Tutti gioielli che hanno reso il busto reliquario un tesoro dall’inestimabile valore.