Intelligenze artificiali e rischi bioetici: “Sono come persone?”

Intelligenze artificiali e rischi bioetici: “Sono come persone?”

CATANIA – Da secoli il sogno della fantasia degli scrittori di fantascienza è la costruzione di un robot con sembianze umane e dotato di un’intelligenza tale da essere copia conforme del suo creatore. Ma sempre molti scrittori fantasiosi si sono posti il dilemma riguardante le inquietudini di un mondo sconosciuto e affascinante: quello dell’intelligenza artificiale.

Negli ultimi anni, soprattutto nei recentissimi, la tecnologia e l’informatica hanno fatto balzi enormi rendendo l’uomo sempre più legato a computer e dispositivi portatili e aprendo le frontiere a una realtà quale quella di un’intelligenza capace di autoprogrammarsi e autonomizzarsi.

Ma la domanda che si sono posti i diversi comitati di bioetica sia nazionali che internazionali è quale potrebbe essere il possibile status giuridico di una macchina con intelligenza artificiale, dotata quindi di autonomia e consapevolezza, e come quest’ultima possa interferire nella posizione dell’uomo, soprattutto in una società come la nostra che ogni giorno dà più importanza alle macchine che al pensiero.

A prima vista potrebbero sembrare quesiti non utili e legati solo a un mondo degli studiosi. Ma nella realtà tali interrogativi si stanno sempre più intersecando nella nostra realtà, entrando nei dibattiti di bioetica che mette a confronto animali e uomini, scimpanzé sani e neonati gravemente malati, facenti parte delle nostre realtà giornaliere.

Inoltre non pochi i dibattiti dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) per quanto concerne le prospettive future dell’intelligenza artificiale, i suoi rischi e filosofia morale.

In queste disquisizioni possiamo trovare due differenti visioni antropoligico-scientifiche profondamente differenti e inconciliabili. In una fazione troviamo l’idea che l’uomo possa coincidere con le sue capacità, attributi e qualità a quelle di un’intelligenza artificiale. In questa visione l’uomo ci sarebbe solo quando manifesta intelligenza, capacità di relazione, capacità di pensare sé stesso, capacità di formulare delle domande sensate.

Secondo questa posizione bioetica si potrebbe comprendere che vi sono “non-uomini” (come un’intelligenza artificiale e un animale) che sarebbero da considerare uomini perché non possiedono solo alcune skills.

A questa posizioni si contrappongono all’idea che l’uomo non sia definibile solo dalla misurazione delle sue capacità, bensì anche dalla sua identità personale che, così va a costituire un presupposto per gli attributi a esso legati. Quindi: intelligenza, relazionalità e autonomia di pensiero sono certamente requisiti tipici dell’uomo e ne rivelano l’esistenza, ma non coincidono con la persona.

Quindi, ontologicamente parlando, un malato in coma, un pazzo, secondo questa posizione bioetica, anche se non manifestano alcuni tratti  tipici dell’uomo rimangono comunque persone. Invece un computer sofisticatissimo, anche avendo le capacità tipiche dell’uomo non sarà mai una persona.

Tuttavia la grande paura di molti studiosi è che se non verrà presa un posizione giuridica si rischia di trattare gli uomini come cose e le cose come persone.