Rapporto medico-paziente: fiducia, comunicazione e informazione alla base di un’alleanza terapeutica

Rapporto medico-paziente: fiducia, comunicazione e informazione alla base di un’alleanza terapeutica

MESSINA – L’evolversi della scienza, della tecnica e della medicina ha profondamente modificato il rapporto che lega il medico al malato. Cambiano i modi di comunicare e di rapportarsi. Ma ciò  che entra in crisi è il rapporto di fiducia che legava il paziente al dottore. La professoressa Marianna Gensabella, docente all’Università degli Studi di Messina e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica, spiega come questa relazione sia radicalmente cambiata.

Qual è il ruolo del medico oggi e in cosa si differenzia dal modello paternalistico che è ormai in declino?

“Il medico ha molti più mezzi per guarire e, in ogni caso, per curare il paziente. Tuttavia paradossalmente il rapporto di cieca fiducia che lo legava al paziente, secondo la metafora padre-figlio, è oggi in profonda crisi. Diverse sono le cause: l’aumento delle possibilità di diagnosi e di cura comporta anche un aumento delle possibilità per un verso di errore, per l’altro di scelta. Da qui l’emergere dell’autonomia del paziente, che vuole sempre di più essere informato sulla sua malattia ed essere coinvolto nelle scelte sulle terapie. Il modello oggi dominante, definito con la metafora del contratto come contrattualista, pone il medico come un professionista, a cui chiedere informazioni e prestazioni da concordare. Un’alternativa a questi due modelli, è quella dell’alleanza terapeutica, che tenta di tenere insieme la fiducia del primo modello e l’autonomia del secondo, vedendo il medico come l’alleato nella lotta contro la malattia e la morte. Nella pratica clinica però l’attuazione di questo modello si scontra con delle difficoltà: la relazione col medico si dà in un contesto che rischia spesso di essere impersonale”.

Come si articola il rapporto medico-paziente?

Da anni combatto una piccola battaglia sul piano linguistico: propongo di invertire i termini e di parlare del rapporto paziente-medico, per sottolineare come il paziente venga per primo, sia dal punto di vista logico l’attività del medico non ha senso se non c’è un paziente che cerca aiuto, sia dal punto di vista etico il paziente, il suo bene, è il fine primo  dell’attività del medico. È però vero che il rapporto non è più a due, perché attorno al paziente e al medico si muovono altre figure, operatori sanitari e socio-sanitari, familiari, amici, consulenti, che interagiscono nella relazione: è più corretto quindi oggi parlare di “alleanza terapeutica allargata”. Momenti salienti di tale alleanza sono: la comunicazione della diagnosi; il consenso o dissenso informato; il decorso terapeutico con le sue scelte in itinere e la ricerca della proporzionalità delle cure rispetto alla vita e alla qualità della vita.

Quali sono gli aspetti giuridici che i medici sono tenuti a rispettare e quali gli aspetti informali?

Uno dei problemi più gravi della pratica clinica oggi è la crisi di fiducia tra paziente e medico: è la deriva della cosiddetta ‘medicina difensiva‘, ossia la messa in atto da parte del medico  di tutte le misure possibili per evitare contenziosi col paziente o coi suoi familiari in caso di errore o di insuccesso terapeutico di dubbia origine. In questo senso va anche la considerazione del consenso informato come atto formale, burocratico, che possa dimostrare come il paziente sia stato informato di tutti i possibili rischi connessi alla terapia e li abbia liberamente accettati“.

Qual è il ruolo del Comitato in quest’ambito?

Il Comitato è sempre stato attento alla formazione dei medici e degli operatori sanitari, come mostra uno dei suoi primi pareri, ‘Bioetica e formazione in ambito sanitario’ del 1991. Si può dire che il ruolo del Comitato sia quello di orientare con i propri pareri il legislatore e al tempo stesso di formare l’opinione pubblica sui temi della bioetica“.