Bigenitorialità, Cassazione: “Cognome paterno anteponibile a quello della madre, anche se il padre riconosce il figlio anni dopo”

Bigenitorialità, Cassazione: “Cognome paterno anteponibile a quello della madre, anche se il padre riconosce il figlio anni dopo”

Il cognome paterno può essere anteposto a quello della madre, anche se il padre ha riconosciuto il figlio dopo diverso tempo. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, I sezione civile, con l’ordinanza n. 18161/2019, con la quale è giunta a questa decisione in nome del principio di bigenitorialità.

La vicenda

In primo grado il padre di una minore, riconosciuta dallo stesso anni dopo, si rivolgeva al tribunale di Tivoliper chiedere che il proprio cognome fosse anteposto a quello della madre. Il giudice accoglieva il ricorso, disponendo la sostituzione del cognome della piccola con quello paterno. La decisione veniva poi confermata dalla Corte d’Appello di Romache, dato atto dell’intervenuto riconoscimento della bambina da parte del padre, disponeva l’affidamento della figlia ad entrambi i genitori con collocamento presso la madre, determinando il contributo paterno al mantenimento.

Il ricorso

Tempestivo il ricorso in Cassazione della madre, che lamentava, tra l’altro, una violazione o falsa applicazione dell’art. 262 codice civile, secondo cui il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto e, se il riconoscimento è effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, il figlio assume il cognome del padre. Questi i motivi della ricorrente:

  • l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui “la minore ha ancora un’età nella quale l’identità è percepita soprattutto con riferimento al nome piuttosto che al cognome e non può ravvisarsi alcuna preclusione nell’attribuzione prioritaria del cognome paterno, come solitamente avviene, allorché il riconoscimento viene effettuato insieme al momento della nascita da entrambi i genitori” è in contrasto con l’interpretazione letterale dell’art. 262, che non consente di equiparare l’ipotesi del riconoscimento contemporaneo con quello avvenuto successivamente per cause non imputabili al padre;
  • la motivazione data dalla Corte d’Appello secondo cui “la minore vive presso la famiglia di origine della madre e vi è un forte rischio di marginalità della figura paterna, con necessità per la bambina di costruirsi un’autonoma identità, con paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione della sua identità personale” è incomprensibile, esorbitante rispetto al criterio del superiore interesse minore e in contrasto con la realtà dell’inserimento della bambina nel contesto della famiglia materna.

La decisione

La Suprema Corte rigetta il ricorso, ritenendolo infondato. Secondo il Collegio “in tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio nato fuori dal matrimonio e riconosciuto non contestualmente dai genitori, secondo cui i criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, avente copertura costituzionale assoluta, la scelta, anche officiosa, del giudice è ampiamente discrezionale e deve avere riguardo al modo più conveniente di individuare il minore in relazione all’ambiente in cui è cresciuto fino al momento del successivo riconoscimento, non potendo essere condizionata dall’esigenza di equiparare il risultato a quello derivante dalle diverse regole, non richiamate dall’art. 262 cod. civ., che presiedono all’attribuzione del cognome al figlio nato nel matrimonio”.

Il giudice è investito dall’art 262, secondo (e terzo) comma, del codice civile del potere-dovere di decidere su ognuna delle possibilità previste da detta disposizione avendo riguardo, quale criterio di riferimento, unicamente all’interesse del minore e con esclusione di qualsiasi automaticità, che non riguarda né la prima attribuzione, essendo inconfigurabile una regola di prevalenza del criterio del “prior in tempore”, né il patronimico, per il quale non sussiste alcun “favor” in sé nel nostro ordinamento.

Esclusa quindi la rilevanza dell’anteriorità del riconoscimento e quindi delle prove relative alle ragioni di un mancato riconoscimento contemporaneo il giudice del merito ha optato, fra le possibilità previste dal secondo comma dell’art. 262 c.c., per la anteposizione del cognome paterno e ha chiarito le ragioni di tale scelta intesa a non attribuire un rilievo identitario al collocamento della minore presso la madre e alla importanza del contesto familiare materno.

Con tale scelta il giudice ha voluto salvaguardare, anche sotto il profilo identitario che comporta l’attribuzione del cognome, il valore della bigenitorialità e negare invece un rilievo al collocamento del minore affidato congiuntamente ad entrambi i genitori.

Si tratta di una scelta che consente al minore di rendere percepibile all’esterno la filiazione da entrambi i genitori e che nell’anteporre anziché aggiungere il cognome paterno ha voluto preservare il minore da una raffigurazione, interiore ed esteriore, non paritaria del ruolo dei due genitori”. Respinto, dunque, il ricorso della madre.