CATANIA – L’Etna non si riposa mai, lo sanno benissimo gli abitanti di Catania e della zona pedemontana che, a fasi alterne, si trovano a fare i conti con l’attività del vulcano, simbolo di una terra in continua evoluzione.
Eruzioni, fontane di lava, sbuffi di cenere e ricaduta di lapilli possono rappresentare certamente uno spettacolo naturale ammaliante, ma portano con sé una serie di conseguenze spiacevoli per il territorio etneo e il suo sviluppo.
Negli ultimi mesi il nostro vulcano ci ha regalato qualche scossone per ricordarci la sua natura e istruirci del fatto che non esiste un “gigante buono”, così come viene spesso etichettato. Tra le sue tante manifestazioni di forza degli ultimi secoli, quella del 1923 è una delle più importanti degli ultimi 100 anni.
Un’eruzione improvvisa e poderosa di tipo stromboliano, iniziata però nel maggio di quell’anno con l’entrata in attività del cratere di Nord-Est nato nel 1911 e l’apertura di alcune fratture laterali ai piedi del Monte Nero.
Nella notte tra il 16 e il 17 giugno 1923 il fianco del vulcano venne scosso da boati e tremori che preannunciarono l’improvvisa espulsione del magma. La lava, che illuminò il cielo dell’estate etnea, iniziò a fuoriuscire velocemente e si incanalò seguendo il tracciato disegnato dall’eruzione di undici anni prima.
La direzione del magma sembrò non lasciare dubbi, con un procedere minaccioso rivolto verso i centri abitati di Linguaglossa e Castiglione Di Sicilia. Nel suo incedere, la lava fagocitò boschi, terreni coltivati, pascoli e abitazioni rurali. Il 19 giugno il flusso lavico investì la vecchia stazione Castiglione-Cerro della ferrovia Circumetnea, che venne completamente distrutta.
Anche alcuni tratti della ferrovia vennero colpiti dall’avanzare del magma, comportando così l’interruzione della linea. Poco dopo a cadere sono la Casa Cantoniera e le abitazioni della borgata di Catena, poco distanti da Linguaglossa.
Con il passare dei giorni, fortunatamente, il fronte lavico perse vigore e si arrestò definitivamente il 18 luglio dopo 11 chilometri di marcia alla base del Monte Santo, antico cratere avventizio. Linguaglossa e Castiglione di Sicilia si salvarono in tempo e non vi furono vittime. I danni al territorio e alle strutture demolite dalla furia dell’Etna di quei giorni, tuttavia, furono ingenti.
Immagine di repertorio