Maria e le sue cicatrici: il coraggio di affrontare una malattia e il rischio di conoscerla troppo tardi

Maria e le sue cicatrici: il coraggio di affrontare una malattia e il rischio di conoscerla troppo tardi

CATANIA – Maria (nome di fantasia) è nata nel 2013, è una bambina vivace e solare. Come molti alla sua età, a volte sembra essere quasi instancabile, altre improvvisamente si ferma a pensare come pochi farebbero.

Nasconde un segreto: sul suo corpo ospita diverse cicatrici. Tra queste se ne notano maggiormente due, una ad altezza intercostale, orizzontale, e un grosso cheloide verticale, che divide otticamente il suo torso in due parti pressoché identiche.

“Abbiamo avuto la verità sotto i nostri occhi per tutta la durata della gravidanza. Si notavano già un eccesso di liquido amniotico e la grandezza anormale dello stomaco. La piccola inoltre cresceva troppo poco, ma ci hanno detto che non c’era nulla di cui preoccuparsi”, inizia a raccontare Elisa (nome di fantasia anche questo), mamma di Maria.

“Alla 33esima settimana ‘si sono rotte le acque’, ma lei è nata ben tre giorni dopo, con un cesareo d’urgenza. L’ho vista per poco più di un secondo, ero pure senza occhiali quindi non capivo molto. Ho solo sentito che piangeva, poi l’hanno portata via”.

Elisa spiega che nel pianto di Maria c’era qualcosa di anormale: non era “pieno”, liberatorio, come solitamente è il primo pianto dei neonati. Quello della piccola era rauco, forzato.

Quel che ha lasciato delle cicatrici sul corpo di Maria ha un nome che in Italia è poco conosciuto: si chiama “Atresia Esofagea” (A.E.) ed è una malattia che colpisce un bambino su 2.500 nati vivi.

Le prime notizie sulle condizioni della neonata sono state riferite al padre: “I medici sono stati diretti – continua Elisa -. Noi non avevamo idea di cosa fosse questa cosa, non l’avevamo mai sentita nominare, non capivamo proprio. Ricordo che una dottoressa aveva detto che non si poteva fare proprio nulla, che la situazione era troppo grave e pesante per una bambina così piccola come lei”.

Nonostante non sia una malattia rara, l’A.E. è poco conosciuta in Italia. La disinformazione porta diversi genitori a scontrarsi con la malattia del figlio e a non conoscerne né le cause, né le conseguenze.

La patologia prevede una crescita anomala e spezzata dell’esofago. Comprende dunque un gruppo di difetti congeniti che causano l‘interruzione della continuità dell’esofago, in presenza o in assenza di una comunicazione persistente con la trachea.

“Se dobbiamo riassumerli brevemente, i primi anni di vita di Maria si possono descrivere con qualche numero: 81, 3, 6, e 10: 81 sono i giorni passati in UTIN (Unità di Terapia Intensiva Neonatale), 3 gli interventi subiti, 6 le trasfusioni, 10 i ricoveri. Tutti numeri spropositati per una creatura così piccola”.

È intervenuto ai nostri microfoni il direttore del reparto di Chirurgia Pediatrica del “Policlinico – Vittorio Emanuele” di Catania, il prof. Vincenzo Di Benedetto.

“Si può diagnosticare in prenatale ed è divisa in 5 tipi – spiega il dottore -. Il più comune è il terzo tipo, che incide sul paziente per circa l’85%, mentre gli altri 4 ne toccano solo il 15%. Nel terzo tipo, l’esofago non si forma in maniera corretta, dunque si ha il moncone superiore a fondo cieco e in quello inferiore una fistola a contatto con la trachea, con l’albero respiratorio”.

Non è prevedibile, non nasce per cause genetiche, ma è possibile riconoscerne la presenza in gravidanza: “Mancata visualizzazione dello stomaco durante le ecografie e polidramnios (una sovrapproduzione di liquido amniotico), che causa anche la nascita prematura del bambino”.

“L’Atresia Esofagea è sempre curabile e non è mortale”, il chirurgo ci tiene a sottolinearlo. Ma, è importante che al momento del parto ci si trovi in un ospedale attrezzato: per questo, spiega Di Benedetto, “si fa quello che si chiama ‘trasporto in utero’, ovvero si ospita la donna in un presidio che possieda i giusti strumenti, dove si trovino un neonatologo e un chirurgo pediatra, ma soprattutto una terapia intensiva”.

Quindi, è fondamentale curare bene la malattia. Dopo le prime operazioni, al bambino viene assicurata un’aspettativa di vita perfettamente nella norma.

Purtroppo, però, questo non è successo a Maria. Infatti dopo il secondo intervento, effettuato ad appena 30 ore dal primo, si sono verificate ulteriori complicazioni. L’operazione le ha danneggiato il polmone in maniera quasi irreversibile, tanto da rappresentare un problema ancora oggi, a distanza di ben 5 anni.

Un errore nella ricostruzione dell’esofago può comportare diverse problematiche post-operatorie, come la stenosi (riduzione) esofagea, il reflusso gastroesofageo o la riapertura della fistola.

Il primo nemico dei genitori è di certo la disinformazione. Per questo, racconta il dottore, “abbiamo organizzato un congresso sull’atresia dell’esofago, aperto a medici UTIN, pediatri, chirurghi, infermieri professionali e genitori”.

Non è facile affrontare la malattia, né per i genitori del bambino, né per lo stesso, ma è importante superare l’ostacolo informandosi e fidandosi di chi ha in cura il piccolo, mantenendo la calma anche quando tutto sembra non avere via d’uscita.

“Con il terzo intervento, una plastica antireflusso che si chiama ‘Nissen’, abbiamo raggiunto un traguardo davvero enorme – spiega ulteriormente Elisa -. Maria ha finalmente iniziato a mangiare cibi solidi, dopo 3 anni di liquidi. Diciamo che adesso sta bene, gioca, apprende e vive come tutti gli altri bambini, deve solo stare un po’ più attenta di loro”.

Rispetto agli anni passati, i casi curati a Catania sono aumentati. Le nuove tecnologie, infatti, hanno ispirato fiducia in quelle famiglie che, diversamente, avrebbero ricercato cure fuori dalla Sicilia.

“Sembra quasi passata una vita da quando, ogni mattina, per la visita quotidiana in UTIN, ci sentivamo ricordare che nostra figlia si trovava in pericolo di vita. Siamo riusciti ad abbandonare alcune cose, altre no, ma speriamo sia solo questione di tempo. Non vediamo l’ora di vederla crescere sempre di più, di conoscerla meglio, di starle accanto mentre intraprende la fantastica vita che la aspetta”, così conclude mamma Elisa, che auspica uno splendido finale per il racconto dal sapore agrodolce della figlia.

Maria adesso ha 5 anni e mezzo e della malattia, a parte qualche lieve complicazione, ormai non le restano che le cicatrici, medaglie al valore per il suo grande coraggio.