Mortalità da infarto del miocardio ridotta con le nuove strategie

Mortalità da infarto del miocardio ridotta con le nuove strategie

La mortalità intra ospedaliera dei pazienti con infarto del miocardio, come è risaputo, è stata ridotta in maniera consistente con le nuove strategie di trattamento in fase acuta con significativo aumento della sopravvivenza.

Criticità rimangono tuttavia alle dimissioni ospedaliere per il mancato raggiungimento della giusta continuità terapeutica, comune anche per altre condizioni di malattia, causa la mancata integrazione ospedale territorio.

Risulta essere fondamentale, alla dimissione del malato per favorire la continuità e l’aderenza terapeutica, fornire una lettera di dimissione non frettolosa ed orientata alla prevenzione secondaria.Informazioni complete per il medico di famiglia, definizione accurata del rischio personalizzato, pianificazione dei controlli nel tempo, sono elementi imprescindibili per ottenere i risultati auspicati. La lettera al medico curante del territorio dovrà inoltre contenere non solo la diagnosi precisa ma anche una sintesi della storia clinica, il completo iter diagnostico e terapeutico, le comorbilità, il rischio personalizzato del paziente dimesso, le terapie e le indicazioni comportamentali.

Risulta evidente come alla dimissione il malato debba poter raccogliere tutte le informazioni che gli sono necessarie per comprendere al meglio la sua condizione.

La regolare dei farmaci, salvavita, migliora la prognosi in modo significativo riducendo la probabilità di recidive di eventi cardiovascolari.
Le giuste terapie tuttavia vengono abbandonate precocemente ancorché prescritte in maniera adeguata. La continuità della terapia in genere non è ottimale riguardando al massimo il primo anno dopo un evento acuto.

La mancata aderenza alla terapia può essere dovuta al malato causa le sue attitudini, convinzioni, contesto sociale o economico ma può riguardare anche il medico in relazione alle sue competenze, conoscenze, convinzioni e contesto professionale.

L’aderenza alla cura è un comportamento individuale consistendo nella corretta assunzione dei farmaci per dosi e per tempi di somministrazione. Persistere in cura è importante così come aderire.

Altri fattori possono intervenire sulla aderenza alle cure fra questi anche la organizzazione del servizio sanitario che giuoca un ruolo attraverso l’accessibilità e la equità dell’accesso.

La discontinuità delle cure o la sospensione delle stesse procura ricadute con danni considerevoli specie dopo determinate procedure interventistiche con re stenosi e trombosi tardiva in caso di sospensione dei farmaci anti aggreganti. Si tratta di ricadute che possono essere catastrofiche senza considerare la comparsa di eventi secondari per la sospensione di altri importanti farmaci.

Si deve fornire ogni utile elemento per favorire l’aderenza alla terapia ed alle norme comportamentali con periodico rinforzo da parte di medici e famiglia.

Adeguato deve essere il programma informativo ed educativo con autogestione clinica e riconoscimento dei principali segni clinici di allarme quale palpitazione, dispnea, dolore toracico con coinvolgimento della famiglia in prevenzione secondaria.

Strategica la collaborazione fra medico del territorio e medico ospedaliero per realizzare quella continuità assistenziale da tutti invocata, quasi mai realizzata. Di questo si dovrebbe occupare la politica e la professione, ma sembra che al momento abbiano altro di più importante da fare, insieme.

Domenico-Grimaldi