Oltre il DNA. La storia di Lucian e di un razzismo tutto italiano – VIDEO

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CATANIA – Amore, costanza, cura, responsabilità, unione. Questi i valori fondamentali della famiglia, il nucleo che dovrebbe rappresentare il luogo in cui il soggetto introietta i modelli cognitivi, comportamentali ed emotivi che, poi, agiranno all’interno della società. Ma esistono famiglie di serie A e famiglie di serie B? Il “legame di sangue” è davvero l’elemento imprescindibile per i suoi componenti?

La legge italiana attribuisce pari diritti ai figli naturali, legittimi e adottivi. Tuttavia non sempre, nella vita quotidiana, i figli adottivi vengono visti alla stregua dei figli naturali. Sarebbero “meno figli”, secondo alcuni, soprattutto se si tratta di adozioni internazionali.

È la storia toccante, ma a lieto fine, di Lucian Dell’Ali, il primo di quattro figli adottivi di una vera famiglia catanese“Sono stato adottato all’età di 3 anni e mezzo. Ero denutrito, non camminavo nemmeno, vivevo in un orfanotrofio militare di Bucarest. Ricordo poco dei miei primi anni, solo qualche flash e qualche cicatrice. Negli anni ’80-’90 c’è stata una grande apertura circa le adozioni internazionali, che però negli anni 2000 sono diventate sempre più rare. Io sono stato davvero fortunato a incontrare i miei genitori e a potermi riscattare. Hanno avuto un cuore immenso, oltre me hanno adottato altri 3 figli, sempre dall’estero”, racconta il robusto 31enne, con grande orgoglio.

“Ricordo, però, che in orfanotrofio venivamo smistati e classificati come fossimo dei bambolotti. I biondi andavano agli inglesi, quelli con tratti somatici più scuri e marcati, invece, andavano agli italiani, agli spagnoli. C’era poi chi pagava per averne uno più piccolo d’età, per non dar adito alle malelingue e non confessare di essere genitori adottivi. I miei, invece, erano orgogliosi della loro scelta. Non potevano avere figli e, piuttosto che forzare la natura attraverso la medicina, hanno capito di voler adottare. A loro non importava come fossi esteticamente e che età avessi”, dice Lucian.

La libertà dell’essere umano non è altro che una scelta tra le opportunità che conosciamo, tra ciò che ci viene offerto. Un percorso non privo di difficoltà, dunque, quello della famiglia Dell’Ali: “Mi hanno accolto con una grande festa. Ma io picchiai tutti i bambini, era il mio modo d’interagire. In orfanotrofio eravamo destinati a diventare i militari di Nicolae Ceaușescu. Ci insegnavano solo che vinceva il più forte, non conoscevo altro. I miei mi hanno fatto vedere altre possibilità, offrendomi la libertà di scegliere, riscattarmi, dentro e fuori. Oggi lavoro in un centro di riabilitazione psichiatrica, sto per laurearmi e ho una famiglia tutta mia, con un figlio di pochi mesi che, assieme a mia moglie, riempie le mie giornate. Sono un marito e un padre molto presente, conosco il valore della collaborazione e cerco sempre lo sguardo vivo, presente, dei miei affetti. Le piccole attenzioni sono le cose più importanti che ci uniscono”, continua il giovane.

Siamo, allora, ciò che la vita ci insegna. “Ho sempre voluto lavorare dai 17 anni in poi, nonostante continuassi a studiare. Ho sempre scelto il sociale, credo di poter comprendere meglio i soggetti che comunicano in maniera differente dalla massa. I ‘malati mentali’, gli esclusi, coloro che hanno delle menomazioni fisiche. Ogni tanto ho ancora paura di essere abbandonato, di non fare o non essere abbastanza, di non essere accettato e cerco l’approvazione dei miei cari. So queste difficoltà da dove derivano e riesco a gestirle, aiutare gli altri mi fa stare bene”, dichiara.

Le grandi capacità di ascolto e la sensibilità di Lucian, miste alla voglia di riscatto, non sono state sempre apprezzate. “Ricordo che i miei genitori scelsero per me una delle scuole migliori di Catania. Alle elementari, però, la cattiveria dei genitori dei ‘figli naturali e legittimi’, mi faceva stare male. Non venivo mai invitato alle feste di compleanno. Una mia compagnetta, G. G., mi disse che non sarei stato invitato alla sua festa perché ‘adottato’. La direttrice ricevette una lettera da parte della classe alla quale appartenevo, dove c’era scritto: ‘Vogliamo fuori dalla scuola questi due extracomunitaririferendosi a me e a un altro figlio adottivo, nonostante fossimo dei bambini di pochi anni, cittadini italiani per altro. Fortunatamente la dirigente rispose a tono: ‘Questi bambini sono per noi una grande risorsa, qualora per voi non fosse così, potreste benissimo scegliere un altro istitutoVedevo mia madre soffrire per queste discriminazioni, anche se tentava in tutti i modi di nasconderlo”.

Non è mancata nemmeno l’ignoranza in merito alle sue origini. “Mi dicevano: ‘Sei un Rom, quelli come te sicuramente non rispettano le regole’. Io precisavo come fossi cittadino italiano e quali fossero le differenze tra i Rumeni, ovvero i cittadini della Romania, che spesso adotta misure drastiche nei confronti dei Rom, e i Romàní (Rom). Questi ultimi sono un altro popolo, sono nomadi di diverse culture che si uniscono spesso in gruppo al fine di viaggiare per il mondo, senza dimora fissa”.

Poco tatto e nessuna educazione civica da parte della maggior parte degli italiani nei confronti di altri, a tutti gli effetti, connazionali. “La famiglia è chi ti ama e chi ti cresce. I miei genitori hanno adottato, subito dopo di me, una ragazzina che viveva in condizioni di disagio tra la Romania e l’Ungheria. Dopo il disastro di Chernobyl, hanno adottato un altro figlio di 10 anni, bielorusso, che nella famiglia d’origine veniva picchiato, a causa della dipendenza da alcool dei genitori. Successivamente, mio papà ebbe notizia di un minore che trascorreva le vacanze in Italia per disintossicarsi dalle radiazioni. La sua famiglia affidataria italiana, però, lo trattava come un cane, lo chiamava addirittura con il suono di un fischio. Così, mia madre e mio padre contattarono l’associazione che si stava occupando dell’affidamento e chiesero di accoglierlo. Dopo l’affido dei miei, il ragazzo, ormai 18enne, ha chiesto spontaneamente l’adozione secondo la formula adottiva da adulto. Oggi sta finendo la scuola e lavora”.

Una storia d’amore, quello vero, che elabora il passato senza subire più i danni delle cicatrici. “I miei genitori mi hanno dato tutto ciò che avrei potuto mai desiderare. Non sento l’esigenza di cercare i miei genitori naturali, ma non per rabbia. So che mia madre mi ha messo al mondo a circa 18 anni, che non ha voluto o potuto accudirmi come normalmente una mamma desidera. Sicuramente ci saranno state delle ragioni valide, non voglio causarle ulteriore dolore”, conclude Lucian, incoraggiando qualsiasi coppia volesse intraprendere la scelta coraggiosa fatta dai suoi genitori adottivi.