Morto Sergio Marchionne, pilastro della Fiat: e la libertà di pensiero ha oltrepassato i limiti

Morto Sergio Marchionne, pilastro della Fiat: e la libertà di pensiero ha oltrepassato i limiti

Principio cardine di uno Stato democratico è la libertà di pensiero.

Irrinunciabile, fondamentale. Ma fin dove può spingersi? In un’epoca dominata dai social network, è facile dire la propria ed è altrettanto facile offendere la reputazione altrui pensando di essere al riparo dal monitor di un computer. Ma non è così. La diffamazione a mezzo social è un reato, dal quale possono derivare anche conseguenze civili (risarcimento del danno).

In questi giorni, lo stato di salute di Sergio Marchionne, morto questa mattina, ha fatto il giro del mondo.

Ed è facile capire il perché. Il noto manager italo-canadese, nel 2004, è stato chiamato a dirigere la Fiat proprio in un momento in cui le perdite della società raggiungevano i 6 miliardi di euro. 

In altre parole, noto per il suo intelletto, per la sua perseveranza e per la sua ampia esperienza nel campo dell’imprenditoria, Marchionne è stato chiamato a salvare l’azienda.

Il matrimonio con Chrysler (casa automobilistica statunitense) prima, e la quotazione presso la borsa americana poi, hanno trasformato la Fiat da una realtà nazionale ad una realtà globale. Insomma, il dirigente d’origine abruzzese ha cambiato le sorti di una delle più importanti aziende italiane, che è tornata a fare utili.

Eppure, per dare una visione internazionale alla Fiat, Marchionne ha dovuto fare scelte non sempre condivise da tutti, come licenziamenti, chiusure di stabilimenti (si pensi a quello di Termini Imerese) e trasferimenti di operai da uno stabilimento all’altro.

Ecco perché oggi è sulla bocca di tutti. La satira sull’ormai ex amministratore delegato della Fiat Chrysler Automobiles (FCA) è dilagata sui social network.

Ma anche la satira, la critica espressa in maniera caricaturale, ha un limite, oltrepassato il quale si sfocia nell’offesa e, ancor prima, nel cattivo gusto, soprattutto quando si tratta di una persona in fin di vita.

Un limite ribadito più volte dalla Corte di Cassazione, che all’interesse a criticare l’operato di un dirigente o di un politico contrappone e fa prevalere l’interesse alla tutela della persona umana, in particolare della sua reputazione e del suo onore.

E, proprio su una nota vicenda che ha coinvolto Marchionne, si è pronunciata la Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 14527 dello scorso mese di giugno, statuendo che “l’esercizio del diritto di critica da parte del lavoratore nei confronti del datore di lavoro può essere considerato comportamento idoneo a ledere definitivamente la fiducia che è alla base del rapporto di lavoro, e costituire giusta causa di licenziamento, quando avvenga con modalità tali che, superando i limiti della continenza formale, si traduca in una condotta gravemente lesiva della reputazione, con violazione dei doveri fondamentali alla base dell’ordinaria convivenza civile”.

Una sentenza che, nel richiamare il rispetto delle regole basilari che governano la società, fa da monito a chiunque oltrepassi i limiti del diritto di critica e di satira, siano essi lavoratori o satiri di professione.