Uccisa a 24 anni per volere del padre, un disonore per Pipitone: condannati a 30 anni i boss Galatolo e Madonia

Uccisa a 24 anni per volere del padre, un disonore per Pipitone: condannati a 30 anni i boss Galatolo e Madonia

PALERMO – Il giudice per le indagini preliminari, Maria Cristina Sala, ha condannato a 30 anni di reclusione, nonché all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e all’interdizione legale, i due boss responsabili dell‘omicidio di Lia Pipitone nel lontano ’83: si tratta di Vincenzo Galatolo e Antonio Madonia. Per i due mafiosi sono previsti ulteriori 3 anni, a pena espiata, in regime di libertà vigilata. Alle parti civili, marito e due figli della vittima, è stata riconosciuta una provvisionale di 20mila euro.

La giovane è stata uccisa il 23 settembre del 1983, all’età di 24 anni, con il benestare del padre, durante una sparatoria a seguito di una rapina, messa in scena per depistare le indagini. I collaboratori di giustizia, a distanza di molti anni, hanno dichiarato quali fossero non solo gli autori del delitto, ma anche il movente.

La ragazza è stata uccisa perché intratteneva una relazione extraconiugale: voleva andar via di casa e separarsi definitivamente. Questa scelta avrebbe infangato il nome della famiglia, secondo il padre, boss dell’Acquasanta. È stato, infatti, proprio il genitore vertice di Cosa Nostra, Antonio Pipitone, a chiedere la punizione estrema per la figlia.

Le indagini portarono, dopo tempo, alla carcerazione del padre, poi assolto per insufficienza di prove. Il caso venne riaperto dal pubblico ministero Antonio Ingroia, nonché dal collega Francesco Del Bene. Pipitone nel frattempo era morto, ma le dichiarazioni del pentito Francesco Di Carlo non hanno lasciato scampo ai sopravvissuti autori del delitto.

L’esecutore materiale è stato individuato nella persona di Vincenzo Galatolo. Il collaboratore di giustizia è certo di queste informazioni perché suo fratello Andrea, all’epoca responsabile della famiglia mafiosa di Altofonte, gli riferì i precisi dettagli dell’accordo mafioso.

Dopo la morte di Lia, anche il cugino, Simone Di Trapani, venne ucciso, colpevole di aver accolto gli sfoghi della ragazza e, quindi, di “sapere troppe cose“. Anche in questo caso, le indagini vennero depistate inscenando un suicidio.

Il figlio della vittima, Alessio, che all’epoca della tragedia aveva soli 4 anni, ha pubblicato un libro nel 2012, con la collaborazione del giornalista Salvo Palazzolo: “Se muoio, sopravvivimi”. Il testo ricostruisce la vicenda della giovane mamma 24enne barbaramente uccisa, condannando due bambini piccoli all’orfanezza. L’opera contiene gli elementi che, il 3 ottobre del 2012, hanno portato alla riapertura delle indagini.