Il social network come un luogoaperto al pubblico

Il social network come un luogoaperto al pubblico

ROMA – La prima sezione penale della Cassazione con la recente sentenza 12 settembre 2014 n. 37596 ha espresso chiaramente il convincimento che Facebook costituisce un vero e proprio “luogo aperto al pubblico”, con la conseguenza che colui che invia messaggi petulanti postati sulla pagina pubblica di un utente di Facebook o di altro social network commette il reato di molestie e disturbo alle persone ai sensi dell’art. 660 c.p.

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Il testo dell’articolo 660 c.p.: “chiunque in un luogo pubblico ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino ad euro 516“, scritto quando non esistevano i social network, viene quindi adattato alle nuove ed incessanti evoluzioni tecnologiche e siffatto adeguamento avviene ad opera della Suprema Corte che con la sentenza in parola conferisce al concetto di luogo pubblico una connotazione non solo fisica ma anche virtuale.

La decisione della Cassazione pone fine alla vicenda di un caporedattore di un giornale locale che imputato ex art. 660 c.p. per aver inviato ad una giornalista messaggi volgari tramite Facebook era stato assolto dal Tribunale di Livorno, sulla considerazione che la norma facesse riferimento a condotte poste in essere in un luogo aperto al pubblico e che internet non poteva essere considerato un luogo.

La Corte di Appello di Firenze ha ribaltato completamente il verdetto: il profilo Facebook è liberamente accessibile a chiunque, sicché tutte le condotte poste in essere dall’imputato sono tali da integrare il reato di molestie.

Il caso giunge dunque al Supremo Collegio che con la sentenza n. 37596 pubblicata in data 12 settembre 2014 dichiara la prescrizione del reato commesso dal caporedattore, non prima però di aver chiarito che l’elemento caratterizzante il luogo aperto al pubblico è dato dalle possibilità di accedervi, donde la possibilità di definire un social network o community come Facebook quale luogo aperto al pubblico.

Ad avviso della Suprema Corte “la piattaforma sociale Facebook disponibile in oltre 70 lingue (che già ad agosto del 2008 contava i suoi primi cento milioni di utenti attivi, classificata come primo servizio di rete sociale), rappresenta una sorta di agorà virtuale. Una «piazza immateriale» che consente un numero indeterminato di «accessi» e di visioni, resa possibile da una evoluzione scientifica, che certo il legislatore non era arrivato ad immaginare. Ma che la lettera della legge non impedisce di escludere dalla nozione di luogo e che, a fronte della rivoluzione portata alle forme di aggregazione e alle tradizionali nozioni di comunità sociale, la sua ratio impone di considerare”.

Invece, in ordine alle e-mail, la decisione adottata dalla Cassazione sembra offrire un’interpretazione restrittiva, sostenendo la tesi della non assimilabilità delle comunicazioni telematiche alle comunicazioni telefoniche considerate dal testo dell’articolo 660 c.p., e con ciò conformandosi a un orientamento più volte espresso dalla stessa sezione (per tutte, sentenza n. 24510 del 17 giugno 2010) che sancisce l’impossibilità di estendere la nozione di mezzo telefonico ai mezzi telematici di qualsivoglia genere, vuoi per la differente natura ed incisività del mezzo vuoi per il rispetto del principio di legalità.

Insomma, la sentenza in esame rappresenta un’occasione per riflettere che un’evoluzione tecnologica impone un’evoluzione normativa: semantica e concettuale.

Avv. Claudia Cassella del Foro di Catania