La diretta sportiva compie 90 anni: la storia del 4-3 che cambiò il modo di vivere il calcio

La diretta sportiva compie 90 anni: la storia del 4-3 che cambiò il modo di vivere il calcio

CATANIA  – Ha segnato intere generazioni e ancora oggi rimane una parte fondamentale della vita quotidiana della maggior parte di noi, seppure nelle sue forme moderne e tecnologiche: si tratta della radio.

E cosa tiene gli spettatori emozionati e sulle spine come lo sport? Si può dire che, se la radio non ha perso ancora il suo fascino in un settore, questo settore è proprio quello della radiocronaca sportiva. I tempi cambiano e gli utenti preferiscono sempre più Facebook e Twitter a quotidiani e mezzi di comunicazione tradizionali, ma sembra che il fascino di ascoltare le dirette sportive in radio, sentire le parole concitate del cronista, magari mentre si torna da un viaggio in macchina o da lavoro, sia ben lontano dal tramontare definitivamente. Questo è particolarmente vero nel caso del calcio, passione principale di milioni di italiani.

Chi ascolta il resoconto di una partita di calcio in diretta in TV o in radio vuole vivere un’emozione, l’emozione di sentirsi parte del gioco, di essere allo stadio a gridare “Gol” o “Fallo” o di imprecare contro le ingiustizie commesse dagli arbitri durante il gioco.

Queste stesse emozioni non rendono gli appassionati di sport di oggi diversi da quelli che 90 anni fa, in pieno periodo fascista, ebbero la possibilità di vivere quella lotta all’ultimo gol tra Italia e Ungheria come se fossero presenti allo stadio.

Erano le 15 del 25 marzo 1928, una domenica come tante allo stadio nazionale del P.N.F. (oggi stadio Flaminio di Roma), quando Giuseppe Savelli Fioretti, giornalista della “Gazzetta dello Sport”, allora appena 22enne, entrò nella storia del calcio italiano per essere stato il primo ad affrontare la diretta per un compenso di 100 lire.

Fioretti era lì quando Julio Libonatti, giocatore italo-argentino, ha segnato quel fatidico gol che ha portato l’Italia alla vittoria ed era lì a documentare le reazioni di quei 32 mila spettatori che avevano visto quel gol rubato al 40esimo, tra l’esaltazione di chi aveva vinto e la delusione di chi aveva perso un primato ventennale.

Insieme al cronista, però, c’erano più di 32 mila persone: a “vedere” quelle scene esaltanti c’erano anche centinaia di italiani che, seppur non presenti allo stadio, vivevano quella stessa trepidazione e avevano la possibilità di farlo solo grazie alle sue parole.

A soli 22 anni, Fioretti ha cambiato il modo di vivere e di raccontare il calcio: così lo sport non era più solo appannaggio di chi poteva permettersi di recarsi allo stadio, ma diventava una sorta di “proprietà pubblica”.

Da allora lo sport, il calcio in particolare, è diventato un momento di unità, una serie di appena 90 minuti in cui si dimenticano le preoccupazioni personali, l’astio con i nemici, i problemi dello stato e i mali della vita e si vive solo di orgoglio nazionale e attesa.

Si tratta di un fenomeno che rimane costante nel tempo, non importa il periodo storico o lo stato sociale in cui si trovano gli individui: il bisogno di “evadere” e di sentirsi parte di una comunità appartiene a tutti e gli appassionati possono soddisfarlo, anche a 90 anni di distanza, con la radiocronaca, che per prima ha compreso ed espresso la volontà del suo pubblico.

Immagine di repertorio