Noi contro loro? Il ritratto “sbagliato” dell’immigrazione ha creato il “mito degli invasori”

Noi contro loro? Il ritratto “sbagliato” dell’immigrazione ha creato il “mito degli invasori”

CATANIA – Non possiamo negare che l’immigrazione sia ormai al centro delle discussioni di tutti i giorni, dai comuni discorsi nei bar e nelle scuole ai discorsi politici. In particolare, si è ormai creato un binomio inscindibile, quello immigrazione-sicurezza, a cui ha contribuito una rappresentazione falsata dell’immigrazione, generando quello che poi è diventato il mito del “migrante invasore”.

I discorsi politici, prima, e quelli della gente comune, poi, si sono ridotti a un “noi contro loro”: si è creata dal nulla una realtà in cui l’immigrato è invasore e minaccia per natura e in cui l’immigrazione diventa la causa principale di ogni problema.

Ma sarà vero? Il migrante è davvero sempre e solo invasore? Chi è davvero il migrante?

A tentare di indagare sulla spinosa questione ci ha provato Amnesty Sicilia, organizzando a Catania un ciclo di conferenze sull’argomento nel corso della settimana appena trascorsa.

Una di queste conferenze, dal significativo titolo di Migrazioni e linguaggi”, che si è tenuta martedì 13 marzo alle ore 9 nel centrale Palazzo della Cultura di Catania, ha posto al centro della discussione l’effetto che l’uso di un certo linguaggio ha nella costruzione di un fenomeno sociale.

Oggi non si dà più alle parole lo stesso valore di un tempo e spesso si sottovalutano gli effetti di un linguaggio sbagliato”: così Anna Meli, direttrice della COSPE e giornalista freelance, ha aperto la conferenza, centrando immediatamente il cuore del problema.

Dire migrante, extracomunitario, straniero, clandestino o rifugiato è la stessa cosa? Per molti lo è, perché ormai queste parole rimandano tutte a una stessa immagine: uomo (come se donne e bambini non esistessero), spesso di colore e generalmente rozzo e violento.

La realtà è che le parole che spesso utilizziamo con leggerezza, come clandestino o profugo, hanno significati molto diversi e l’utilizzo di una parola piuttosto che un’altra costruisce un’immagine del fenomeno immigrazione. E l’immagine che si è costruita fino a ora è: migrante uguale criminalità, terrorismo e violenza.

Perché? Semplicemente perché quando si legge una notizia di cronaca nera non si pensa più a cosa è accaduto, ma piuttosto a chi ha commesso il fatto e se si tratti o meno di uno straniero. E i media spesso puntano su questo tipo di curiosità fino a rendere prioritari non il vero e l’informazione, ma il gossip e i toni allarmistici.

La verità è che chi arriva su un barcone non ha ancora uno status: non si può dire subito se si tratti di un rifugiato o di un clandestino”: le parole di Paola Barretta, ricercatrice, rivelano i limiti delle “etichette” che utilizziamo in maniera leggera e fanno riflettere su come quello che percepiamo immediatamente come “nemico” potrebbe essere tutt’altro.

Esiste una soluzione? Una risposta abbastanza difficile e non univoca. Certo è che l’ordine dei giornalisti non ha mancato di proporre la sua soluzione: si tratta della Carta di Roma, siglata il 12 giugno 2008, che costituisce un protocollo deontologico che riguarda migranti, richiedenti asilo, rifugiati e vittime della tratta.

Il documento è costituito da un ampio glossario, che segue i quattro principi fondamentali:

  • No ai termini impropri: un richiedente asilo non è un clandestino, così come un immigrato non è necessariamente un clandestino. C’è una differenza sostanziale tra immigrati che giungono sulle nostre coste per richiedere almeno il rispetto dei diritti umani negati nei loro paesi d’origine e immigrati illegali. Ci sono limiti giuridici che distinguono gli uni dagli altri, ma la cultura mainstream a volte dimentica di considerarlo, generando non solo una maggiore confusione nella popolazione ma anche un senso di ostilità verso lo straniero.

  • Tutela dell’identità: l’origine del colpevole di un reato andrebbe data solo quando effettivamente importante per comprendere la notizia. Inoltre, bisognerebbe prestare attenzione a non rivelare i volti e le identità dei rifugiati, specialmente se questo può costituire un pericolo per le persone coinvolte.

  • Attenzione alle fonti: essere ben informati e usare solo dati ufficiali (dati Istat, dati del Ministero degli Interni e simili) può limitare l’allarmismo e di fornire informazioni corrette.

  • Correttezza e completezza: l’informazione va data senza toni iperbolici e senza distorsioni.

La Carta è solo un documento, che va conosciuto e rispettato, ma non è tutto: per poter “normalizzare” la questione migrazione è necessario un duro lavoro di rieducazione delle coscienze, sia di chi fa informazione sia di chi riceve.

Solo a un cambiamento sociale può seguire la fine di un mito, quello dell’immigrazione-invasione, che si basa su informazioni ancora troppo parziali.