La rinascita del quartiere Cappuccini di Catania, si riparte dai più giovani

La rinascita del quartiere Cappuccini di Catania, si riparte dai più giovani

CATANIA – Disagio, ineducazione e povertà: sono questi i termini che comunemente associamo a tutti i quartieri lontani dalla “Catania bene”, compreso il quartiere Cappuccini, appena al di là di via Plebiscito. Pochi però sanno quanto viene fatto di buono e come la solidarietà sia diventata la parola chiave del quartiere, principalmente grazie all’associazione Cappuccini.

Da anni l’associazione lavora nell’omonimo quartiere, concentrandosi in particolare sugli strati più deboli della società, quali famiglie povere e bambini. E proprio sui bambini e sui giovani che i volontari hanno deciso di scommettere per fare rinascere il quartiere, giudicato erroneamente “morto” e senza speranza ormai da troppo tempo.

Lì dove molte istituzioni hanno “mollato”, l’associazione Cappuccini ha deciso di tenere duro e, con pochi fondi ma tanti volontari di buon cuore, ha messo in piedi un’esperienza che in pochi anni ha già iniziato a dare risultati e a costruire una rete di aiuto e sostegno.

L’associazione è nata circa 25 anni fa su iniziativa di un’alunna del liceo classico Nicola Spedalieri, che abitava proprio nel quartiere Cappuccini, e della professoressa Graziella Biondi, che ancora gestisce con amore e passione l’associazione. Quest’ultima opera principalmente il martedì e il venerdì pomeriggio. L’esperienza dei volontari comincia con la distribuzione delle buste della spesa, che vengono dispensate alle famiglie più in difficoltà.

In seguito, i volontari accompagnano i bambini del quartiere alla sede di via Raciti, dove inizia un pomeriggio ricreativo, che include attività di doposcuola ma anche di divertimento e svago, disponibili non solo per bambini, ma anche per gli adolescenti delle scuole superiori limitrofe.

L’associazione, che è cresciuta grazie ai “passaparola” e all’amore dei volontari, ha cercato di estendere la propria attività in tutti i modi possibili: ha instaurato rapporti con associazioni di psicologi e psichiatri, come la Jonas Onlus (con la quale l’associazione Cappuccini spera di organizzare presto anche un corso di igiene e corretta alimentazione per le famiglie del quartiere); con i servizi sociali, che talvolta purtroppo si rendono necessari per salvaguardare bambini e giovani da violenze o problemi simili; con le scuole, anche se spesso sono proprio queste a “mollare” e a perdere le speranze di “recuperare” i giovani; con la chiesa, principale fonte di sostegno economico dell’associazione.

“I soldi sono l’ultimo dei nostri problemi” spiega la professoressa Biondi: l’associazione ha ovviamente a che fare con i problemi economici che spesso ostacolano questo tipo di attività, ma i soldi non sono l’interesse primario dei volontari. La base di tutto è – nelle parole della professoressa Biondi – “offrire un rapporto e creare una rete”: solo così è possibile garantire ai giovani del quartiere un futuro diverso dalla malavita e dalla povertà.

Diverse sono le iniziative che l’associazione Cappuccini porta avanti per offrire una realtà familiare a quelle famiglie che non hanno mai conosciuto l’idea di un’atmosfera casalinga serena: oltre alle raccolte fondi e alle raccolte cibo e farmaci (la più recente quella organizzata dalla professoressa Biondi all’istituto di istruzione superiore G.B. Vaccarini dal 5 al 10 marzo), l’associazione ha recentemente aggiunto esperienze nuove, quali il pranzo di Natale di quartiere, e di offrire nuovi servizi, quali sportelli di sostegno per giovani e adulti o attività di recupero per giovani sospesi da scuola o “messi in prova”. I progetti coinvolgono indistintamente tutti coloro che ne hanno bisogno, senza pregiudizi. Lo conferma G., giovane tunisina cresciuta in Italia, che commenta: “Questa associazione è una grande famiglia”.

Il dramma principale del quartiere rimane comunque quello dell’educazione: “Ultimamente sento che le scuole stanno mollando la presa” confessa amaramente la professoressa Biondi. Il caso più recente è quello del giovane C., che dallo scorso giugno si trova in attesa che inizino i corsi dell’istituto professionale Archè, e che, in attesa di poter usufruire del suo diritto allo studio, a 15 anni vive giostrandosi tra un lavoretto e l’altro o dormendo.

I giovani sono l’unica fonte di speranza del quartiere, ma senza un adeguato supporto da parte della scuola, come è possibile immaginare per loro un futuro diverso dalla criminalità e da una vita di stenti e disagi?

La professoressa Biondi e i volontari continuano a ricercare la collaborazione di tutte le istituzioni, affinché il loro progetto possa davvero essere al centro della rinascita del quartiere Cappuccini, che, dietro ai problemi e alle difficoltà, nasconde anche tanti animi vivaci e con tanta voglia di riscatto.