“Non siamo genitori di serie B”: cresce il dramma dei padri separati

“Non siamo genitori di serie B”: cresce il dramma dei padri separati

PALERMO – Cresce in Italia e in Sicilia soprattutto, il dramma dei padri separati, i così detti nuovi poveri da divorzio che, sebbene percepiscano uno stipendio dignitoso, si ritrovano la maggior parte delle volte al lastrico e perciò costretti a rivolgersi magari ai centri Caritas anche solo per un pasto caldo da poter mangiare.

Il mutuo della casa coniugale (rimasta alla moglie) e ancora l’assegno per il mantenimento della prole, riducono al minimo le possibilità economiche di un uomo che così facendo, non potrà permettersi neanche un appartamento in affitto.

Anche se, nelle separazioni coniugali, l’affidamento dei figli è quasi sempre congiunto nell’89,4% dei casi, i bambini restano di fatto quasi sempre alla madre. A dimostrarlo sono l’82% dei divorzi tra coppie, aventi dei minori, il cui assegno di mantenimento fissato solo nel 66% delle volte risulta esclusivamente per i figli mentre il restante 22% spetta anche all’ex moglie.

Nel 94,1% dei casi, infatti, a sborsare di tasca propria i soldi, è proprio il padre. Un importo medio mensile dell’assegno nel 2014 corrispondeva a 485 euro per il coniuge e a 488 per i bambini; al contempo, lo stipendio medio degli italiani si aggirava intorno ai 1300 euro.

Nonostante i figli dovrebbero trascorrere metà del loro tempo con ciascun genitore, secondo un dossier preparato dalla Caritas, grazie all’aiuto dei sociologi dell’Università Cattolica il 72,7% delle donne separate vede tutti i giorni i propri figli, mentre ci riesce solo il 9.2% degli uomini. La maggior parte dei padri, esattamente il 41.9% di loro, li incontra più volte alla settimana, a seguire il 14,2% riesce a vederli qualche volta al mese ed infine, il 13,9% non li vede da oltre un anno.

Un dramma, quello dei papà divorziati, troppo spesso ignorato. “Una quercia abbattuta senza più radici, fragile, inerme e senza più dignità; ogni bambino vede il proprio papà come un eroe, ma dopo una separazione quella quercia forte e protettiva diventa una canna sbattuta dal vento. E quando un uomo non riesce più a prendersi cura della sua famiglia, perde la stima in se stesso e si sente un fallito”.

La spiega così la condizione dell’uomo che, seppur divorziato, non rinuncia al suo diritto di essere padre e che per questo, combatte ogni giorno da solo la sua battaglia silenziosa affinché questa non finisca nel baratro. La maggior parte dei padri che non riescono a mantenere i propri figli, dimostrano un atteggiamento di sofferenza tale da fargli credere di essere dei falliti e per questo, non degni del loro affetto.

La frequenza delle visite, i luoghi dove poter incontrarsi e l’impossibilità, spesso, di partecipare a compleanni, feste e ricorrenze importanti, secondo il Rapporto, rendono insoddisfatti il 58,1% dei padri che denunciano un peggioramento delle loro condizioni. A riconoscere invece un notevole miglioramento sono le madri, che si sentono soddisfatte di quanto ottenuto dalla legge.

Secondo la sentenza della Cassazione, l’autosufficienza economica del coniuge richiedente va determinata sulla base di specifici parametri quali: possesso di redditi di qualsiasi tipo; titolarità di patrimoni mobiliari o immobiliari; capacità e possibilità lavorative effettive di lavoro personale, commisurata a età, salute, sesso, mercato di lavoro pubblico e privato; titolarità di patrimoni mobiliari o immobiliari.

E ancora l’autosufficienza economica di colui che richiede l’assegno di divorzio, va determinata sulla base del caso concreto, poiché – come sostenuto recentemente dalla Cassazione con la sentenza n. 2042 del 26 gennaio 2018 – “il coniuge richiedente l’assegno non può riguardarsi come una entità astratta ma deve considerarsi come singola persona nella sua specifica individualità”.