Stop occupazioni, gli studenti: “Non è una resa, ci siamo fatti sentire”. Cosa dirà la provincia?

Stop occupazioni, gli studenti: “Non è una resa, ci siamo fatti sentire”. Cosa dirà la provincia?

CATANIA – Una protesta che probabilmente avrà dei risvolti e che non si ridurrà a una scusa per non andare a scuola, come spesso accade. Perché, in effetti, l’occupazione ha perso il valore di una volta, lasciando l’amaro in bocca a tutti quegli studenti che, nel passato, ne davano un senso diverso.

Spesso, infatti, si cercano più scuse per protestare che concetti e ideali da portare avanti per metterla in pratica.

Non si fa di tutta l’erba un fascio, ma partire da questo stereotipo è fondamentale, in quanto l‘occupazione di Archimede e Principe Umberto è terminata, ma l’intento non è certamente stato quello di proporre dei giorni di assoluto svago senza farsi sentire concretamente dalle istituzioni, e più nello specifico, dalla provincia. Un’occupazione che, secondo le dicerie di studenti di entrambe le scuole e di chi si è promosso leader di questa protesta, ha avuto come fine non una soluzione al problema, ma l’ennesimo appello alle istituzioni, considerate “tristemente” paralizzate per l’adempimento di fondi per l’edilizia scolastica e per il materiale didattico.

Come è dettagliatamente descritto sulla pagina Facebook ufficiale di Lps (Liberi pensieri studenteschi), uno dei gruppi promotori delle occupazioni, ci si prenderà una piccola pausa dalla protesta, facendo un passo indietro.

Le motivazioni della manifestazione sono collegate: da una parte la critica all’introduzione dell’alternanza scuola-lavoroe all’accentramento del potere all’interno degli istituti scolastici, nelle mani dei presidi”; dall’altra, invece, una protesta che pianta le proprie radici sull’assenza del “minimo indispensabile per svolgere la regolare attività didattica. Su questo fronte abbiamo lanciato una mobilitazione con cui abbiamo portato le nostre rivendicazioni nelle strade della nostra città, al provveditorato e al comune, seguendo anche un piano vertenziale fatto di richieste e documenti, senza mai però ricevere risposte”, si legge sul post.

Si è giunti, quindi, a una forte presa di posizione, che per ideali porta avanti quello di “vivere la scuola in un modo differente dal normale, perché è possibile decidere insieme, autogestirsi, non lasciare indietro nessuno e costruire legami sociali solidi e umani, fondati sull’ascolto reciproco e la partecipazione attiva di tutti”.

Persino i presidi di Archimede, Daniela Vetri, e dell’Emilio Greco, Antonio Alessandro Massimino, hanno sposato in toto le motivazioni che hanno spinto gli studenti a occupare le proprie scuole, affermando comunque che la protesta limita il diritto allo studio e che ognuno si assumerà le proprie responsabilità per l’interruzione del pubblico servizio. Ma, “gli studenti hanno bisogno di essere ascoltati”.

Adesso la palla passa alla provincia, che martedì scorso aveva ricevuto una parte di ragazzi della comunità studentesca in un tavolo tecnico per esporre i problemi e trovare una soluzione comune. Difficoltà riassumibili in due punti.

Il primo, la mancanza di fondi unita allo stato di agitazione della Pubbliservizi, azienda che si occupa della manutenzione dei vari istituti scolastici del territorio etneo; il secondo, la soluzione al primo: come ottenere i soldi? Partecipando a dei bandi, alcune scuole d’Italia si aggiudicherebbero i fondi dall’Unione Europea per rimediare alle carenze strutturali.

Oggi le scuole di Catania interessate ritornano a fare lezione regolarmente, ma la protesta potrebbe non fermarsi qui. Un segnale è stato lanciato: verrà accolto o “cestinato”?