“Diritto a morire” a norma di legge o “diritto al rifiuto delle cure”?

“Diritto a morire” a norma di legge o “diritto al rifiuto delle cure”?

Diritto a rifiutare le cure? O diritto a morire di fame e di sete?

In questa girandola di interrogativi o di espressioni ruotanti intorno ad un medesimo concetto sta tutto il senso del valore che la nuova legge intende attribuire alla scelta del singolo di poter disporre del bene vita in modo insindacabile e con la “dovuta” complicità, non censurabile né in sede penale, né in sede civile, del sanitario o dei sanitari che hanno in “cura” il paziente.

La nuova legge infatti definisce normativamente il concetto di “trattamento sanitario”, che il paziente adesso ha il diritto di rifiutare, estendendolo anche (art. 1, comma 5) alla “nutrizione artificiale” ed alla “idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici”.

Si prevede, altresì, con scelta certamente discutibile in quanto impositiva di un obbligo a carico del sanitario che non sembra obiettabile nemmeno per le proprie considerazioni fatte secondo coscienza, che “il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale” (art. 1, comma 6).

Dal quadro della nuova legge approvata il 14 dicembre, qui considerata per gli aspetti più eclatanti, emerge dunque un’impostazione che certamente non collima col quadro giuridico offerto dal nostro ordinamento, dominato finora (quanto meno normativamente) dalla indisponibilità del bene della vita.

Nonostante il codice penale italiano preveda ancora il reato di istigazione o aiuto al suicidio (art. 580 c.p.), la nuova legge con poche norme pone un deciso vulnus a tale indisponibilità, anzi la oblitera del tutto, consegnando il bene vita nelle mani del paziente stesso o di chi dovrebbe tutelarlo: se infatti il paziente è minore di età o incapace (art. 3) il “consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore”; per l’interdetto è espresso dal tutore; per l’inabilitato “dalla medesima persona inabilitata”; nel caso di nomina di un amministratore di sostegno che preveda “l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo da quest’ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere”.

Si prevede poi che nel caso in cui il rappresentante legale della persona interdetta o inabilitata oppure l’amministratore di sostegno, in assenza di disposizioni anticipate di trattamento o il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale o dei soggetti di cui agli articoli 406 e seguenti del codice civile o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria.

Con la nuova legge è stata prevista inoltre espressamente la possibilità, per il caso in cui sopraggiunga “una futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte”, di esprimere, attraverso le cd. DAT “le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari”, potendo indicare altresì una persona di fiducia, denominata «fiduciario», che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.

Certamente, di contro alle trionfalistiche declamazioni politiche di questi giorni (volte a definire la legge in commento come un autentico momento di civiltà o di progresso), non può non rilevarsi come emerga un quadro dominato dalla inquietante possibilità di disporre della propria o altrui vita, attraverso il rifiuto anche della nutrizione o idratazione artificiale, cui il sanitario non può opporre persino la sua personale obiezione di coscienza, totalmente obliterata… a norma di legge.