Social network e dipendenza: quando controllare troppo lo smartphone diventa patologico

Social network e dipendenza: quando controllare troppo lo smartphone diventa patologico

CATANIA – Con lui lavoriamo, comunichiamo, scattiamo foto e, perché no, ci concediamo momenti di svago. Di cosa parliamo? Naturalmente del nostro smartphone, un vero e proprio “compagno tascabile” dal quale ormai non possiamo più separarci.

Un supporto che ci aiuta a rispondere alla frenesia del mondo d’oggi: cambi di programma improvvisi e contrattempi che caratterizzano le nostre giornate possono essere così comunicati in tempo reale, evitando inutili perdite di tempo. Anche lo scambio di semplici informazioni può avvenire con una facilità e una velocità sconosciute alle generazioni precedenti.

Un mezzo che nasce per semplificare le nostre vite, ma che in certi casi, nemmeno tanto rari, finisce per danneggiarle.

Molto spesso, infatti, lo smartphone diventa così fondamentale da non riuscire a separarcene: “In diversi studi si è provato a togliere lo smartphone a giovani che ne facevano uso. Questa situazione ha provocato ansia, depressione e altri stati patologici che portano la persona a patire in maniera molto pesante questa mancanza”, ha spiegato ai nostri microfoni il dott. Gianni Nardelli, psicologo esperto in dipendenze che esercita sia a Milano che a Catania.

Un eccessivo controllo delle notifiche sui social, dei messaggi su Whatsapp e su altre piattaforme di messaggistica istantanea può, in realtà, celare un problema psicologico molto difficile da riconoscere e affrontare.

In altre parole, quando questi atteggiamenti sono ripetuti troppo di frequente, c’è il concreto rischio che guardare il cellulare diventi non una necessità reale, ma semplicemente un bisogno compulsivo: “Io faccio tutto con lo smartphone: lavoro con lo smartphone, mi relaziono con lo smartphone, vivo in pratica con lo smartphone. È una vita integrata, non posso prescindere dal suo uso. Questa è la patologia- commenta ancora Nardelli -; le generazioni precedenti erano abituate a non usare il telefono, quelle attuali, invece, nascono già con questo tipo di tecnologia”.

Un uso sempre più spasmodico del cellulare che è diventato, inoltre, il mezzo tramite il quale gestiamo il nostro “Avatar virtuale”, cioè la nostra vita sui social network. Proprio per la facilità con la quale ormai riusciamo ad accedere a queste piattaforme da ogni luogo, sono sempre di più, infatti, coloro i quali trascorrono le giornate postando video e foto on-line.

“I social sono un’estensione delle relazioni sociali. Non conosco il mio vicino, ma ho migliaia di followers su Instagram o amici su Facebook. Cosa mi fa continuare a postare? I like. Questi mi fanno sentire considerato da persone che, molto spesso, nemmeno conosco nella realtà. Tuttavia, nel momento in cui ricevo tutte queste attenzioni io sto bene“, spiega l’esperto.

Una sorta di approvare e farsi approvare radicato nelle nostre insicurezze che provoca un benessere immediato, ma che alla lunga, nel caso in cui le nostre aspettative in termini di attenzione non vengano corrisposte, può provocare anche gravi problemi come ansia e depressione.

“Il dover mantenere sempre le aspettative dei followers o degli amici virtuali genera ansia. Nel caso in cui, per esempio, non si ricevano abbastanza mi piace in una foto provoca depressione – commenta, infine, lo psicologo -. Molti arrivano anche a desiderare il suicidio”.