Violenza negli ospedali in aumento, Lorenzin propone un nuovo progetto a tutela dei medici

Violenza negli ospedali in aumento, Lorenzin propone un nuovo progetto a tutela dei medici

PALERMO – Alla luce degli ultimi episodi di violenza registrati nelle strutture ospedaliere e territoriali, in particolare nelle aree di emergenza, di continuità assistenziale e di prima accoglienza, un “Protocollo” doterà tutti i professionisti che operano nell’ambito sanitario degli strumenti adeguati per gestire al meglio eventuali eventi “sentinella” di pazienti e familiari prima che si trasformino in aggressioni e atti violenti.

Ieri è stato presentato il “Protocollo di rilevazione degli atti di violenza a danno degli operatori sanitari e sindrome da Burnout correlata”, nato dall’analisi dei dati allarmanti sui gravi disagi che vivono ormai medici e operatori della sanità, confermati dalle ultime rilevazioni dell’agenzia statistica Bureau of Labor Statistics, che ha rilevato negli Stati Uniti un’incidenza di aggressioni (non mortali) di 9,3 su 10.000 operatori sanitari, molte delle quali nelle aree di servizi per la tossicodipendenza, nei centri di salute mentale, e nei servizi residenziali e sociali. E della Joint Commission (Usa), la più grande organizzazione al mondo non governativa e non profit, dedicata al miglioramento della qualità e della sicurezza nei servizi sanitari, che ha segnalato 141 eventi sentinella legati ad aggressione, violenza e omicidio accaduti da gennaio 1995 a dicembre 2006.

Passando all’Italia, gli infortuni nelle strutture ospedaliere denunciati all’Inail solo nel 2005 sono stati 234 ai danni degli infermieri e 7 ai medici.

Secondo l’ultima analisi, presentata dall'”Associazione Scientifica Hospital & Clinical Risk Managers”, capofila del progetto, gli episodi di violenza nel Paese si sono verificati più frequentemente nei servizi di emergenza-urgenza, di geriatria, nelle strutture psichiatriche, luoghi di attesa e di continuità assistenziale.

“Questo protocollo è una delle risposte che vanno date di fronte a terribili fatti di cronaca che hanno colpito anche la Sicilia – ha detto il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, intervenendo telefonicamente durante la conferenza stampa -. È importante spiegare ai cittadini cosa significa essere oggi un medico, avere rispetto per la scienza e la cultura scientifica”.

“La violenza contro il medico, rifiutare la terapia – ha aggiunto il ministro – sembrano temi diversi ma fanno tutti parte di una visione negativa della nostra società degli ultimi anni che non fa più comprendere questa attività. Dobbiamo ricostruire insieme un rapporto diverso con i pazienti, ma anche un’educazione civica“.

Secondo le rilevazioni dell’Associazione scientifica Hospital & Clinical Risk Managers, il numero di aggressioni è destinato a crescere. Aumento di pazienti con disturbi psichiatrici dimessi dalle strutture ospedaliere e residenziali, abuso di alcol e droga, accesso senza restrizione di visitatori negli ospedali e nelle strutture ambulatoriali, lunghe attese nelle zone di emergenza e nelle aree cliniche, sono le principali cause. Che si sommano a un fabbisogno di personale non adeguato e alla mancanza di una formazione adeguata che consenta di riconoscere immediatamente comportamenti ostili e aggressivi.

Generalmente, tali episodi si sviluppano secondo una precisa progressione. Nella maggior parte dei casi, un gesto estremo di violenza inizia con espressioni verbali aggressive, che devono essere valutate e gestite sul nascere. Conoscere tale progressione consente di comprendere e valutare subito quanto sta accadendo ed interrompere il corso degli eventi. Questo è possibile attraverso un modello formativo mirato, che, applicato sul campo, diventi un protocollo da seguire come misura di prevenzione e protezione. Sono previsti moduli formativi declinati alle varie figure professionali, per il management, per i medici, per gli operatori sanitari e per il personale di sicurezza.

Così, quindi, partirà un censimento on line tra tutti gli operatori sanitari che sono i principali interlocutori in grado di dirci quale è il reale bisogno formativo. L’idea è di lavorare anche sull’utenza, a cui paradossalmente non si pensa perché anche i cittadini hanno bisogno di conoscere in modo adeguato il mondo della sanità. Inoltre, dal prossimo 14 novembre, in collaborazione con l’Ordine dei medici, partirà anche il progetto formativo pilota “School of clinical risk management”, finalizzato alla gestione del rischio clinico in ospedale e la sicurezza dei pazienti. Dalla Sicilia lo porteremo in discussione in diverse regioni d’Italia”.

Di comunicazione, informazione e potenziamento dei sistemi di sicurezza, quali elementi cardine su cui lavorare, ha parlato il dirigente generale De Nicola: “Credo sia importante anche il rapporto con la cittadinanza attiva. È indispensabile informare l’utenza di un cambio di mentalità, spiegando che gli operatori sanitari collaborano e aiutano la salute e non possono essere considerati un ostacolo al raggiungimento. Serve un cambio di passo di mentalità, di cultura e di comunicazione per far tornare gli ospedali luoghi di accoglienza e di cura”.

“Si lavora in trincea, serve personale di vigilanza che non sia solo un’interfaccia e soprattutto è necessario un automatismo di denuncia e di costituzione a parte civile quando si verificano episodi di aggressioni “, ha detto Franco Gargano, fotografando le condizioni di lavoro nei pronto soccorso, dove “si lavora con un numero di medici e infermieri insufficiente”.

Tra le principali misure strutturali e tecnologiche individuate per prevenire i rischi ci sono: l’installazione di impianti di allarme o altri dispositivi di sicurezza (pulsanti antipanico, allarmi portatili), impianti video a circuito chiuso nei luoghi più a rischio, eventuali metal-detector per rilevare la presenza di armi metalliche, oltre alla presenza di un funzionario di pubblica sicurezza.

Le misure organizzative riguardano invece la governance delle attività lavorative. A titolo di esempio, l’attivazione di procedure che rendano sicura l’assistenza domiciliare, prevedendo in certi casi anche la presenza di un accompagnatore o la comunicazione ad un secondo operatore degli spostamenti: un modello d’informazione chiara ai pazienti sui tempi di attesa.

Il protocollo, che darà il via al progetto, è stato realizzato in partnership tra l’ente capofila l'”Associazione Scientifica Hospital & Clinical Risk Managers”, l’Omceo e l’Azienda ospedaliera universitaria Paolo Giaccone, con la collaborazione dell’Università La Sapienza di Roma e diverse Aziende sanitarie regionali.

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