Migranti e rientri in patria. Come, quando e perchè

Migranti e rientri in patria. Come, quando e perchè

Dal vertice informale tra i Ministri degli interni dei Paesi UE, in corso in questi giorni a Tallinn si evince come ci sia necessità di collaborazione tra i vari Stati dell’Unione per ridurre i fattori d’attrazione e per garantire l’identificazione dei soggetti e la loro registrazione in appositi registri, affinchè il flusso dei migranti non diventi una piaga sociale di un solo Stato, l’Italia. Ma oltre che di cooperazione, c’è la necessità di celerità, considerato che i migranti sbarcati al 27 giugno sono stati 73.380 e che la mamma Italia è tenuta ad accogliere e dare protezione agli uomini che scappano dal loro paese d’origine, anche se fuggono per ragioni meramente private e familiari, quali possono essere le minacce subite dai familiari.

In tal senso si è pronunciata recentemente la Corte di Cassazione, sez. VI Civile – con ordinanza, depositata il 3 luglio 2017, n. 16356 – che ha sancito il principio di diritto per cui, pur essendo evidenti le ragioni personali dell’approdo in Italia vanno comunque valutate le condizioni socio politiche del paese d’origine per valutare il potenziale pericolo per lo straniero in caso di ritorno in patria. Il caso è quello di un uomo scappato dalla Nigeria a seguito di minacce subite dalla ragazza con cui aveva intrapreso una frequentazione stabile. Con sentenza del 4 aprile 2013 la Corte d’appello di Bologna in totale riforma della decisione resa dal Tribunale, rigettava la domanda di protezione sussidiaria riconosciuta in primo grado al migrante di nazionalità nigeriana. Riteneva il Collegio che difettassero i presupposti sanciti dagli artt. 2, lett. g., e 14, D.Lgs. 251/2007 per il riconoscimento della protezione sussidiaria. Da un lato, infatti, mancava il “danno grave” costituito dalla “minaccia grave e individuale”, perché l’allontanamento dalla Nigeria era stato determinato da una necessità meramente privata e familiare; dall’altro lato, l’area di provenienza dello straniero (Lagos) non risultava essere interessata da una condizione di “violenza indiscriminata” bensì da una situazione di criminalità comune che non assurgeva al rango di “conflitto armato interno”.

Tali fattori, giustificanti la protezione sussidiaria, erano peraltro estranei a quanto allegato dal nigeriano (e l’onere dell’allegazione, a differenza dell’onere della prova, non può trovare alcuna attenuazione nemmeno nel procedimento di cui si tratta). Il nigeriano ricorreva per cassazione deducendo che il rischio di subire un “danno grave” come definito dalla legge poteva derivare anche da soggetti privati, in assenza di un’autorità statale che impedisca tali comportamenti dannosi. Inoltre, facendo riferimento alla possibilità che egli aveva di rientrare a Lagos, riteneva che la Corte d’appello avesse errato in quanto aveva applicato un criterio non previsto dalla normativa vigente, perché l’art. 8 della direttiva 2004/83, che consente agli Stati membri di indicare delle zone interne sicure in cui lo straniero può essere rinviato, non è stato accolto nel nostro ordinamento.

Non solo, la Corte avrebbe comunque omesso di considerare che, secondo le molte fonti di informazioni prodotte in giudizio, anche Lagos è una città ad elevatissimo rischio. Infine, la Corte bolognese non si sarebbe attenuta ai principi espressi dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea nella sentenza 465/2009, in base a cui l’esistenza della “minaccia grave e individuale” può in via eccezionale essere considerata provata quando il grado di violenza indiscriminata è di carattere tale che lo straniero, rientrato nel proprio Paese, sarebbe esposto a un rischio effettivo.

In quest’ottica di comparazione degli interessi in gioco e dei diritti da tutelare, va letta la decisione della Corte. Perché risulta imprescindibile una valutazione che comprenda da un lato la sicurezza dell’individuo e l’integrità personale, dall’altro l’esigenza di rimpatrio di chi non ha diritto a stare nel territorio dello Stato. La domanda cui si è sentita l’esigenza di rispondere è stata quella relativa all’esistenza o all’insussistenza di una qualche relazione tra la situazione generalizzata di violenza in Nigeria e il danno alla vita o alla sicurezza prospettato dal nigeriano che aveva abbandonato il proprio Paese per ragioni strettamente personali, ovvero, in primo luogo, la minaccia subita dai parenti della ragazza ivi frequentata? Si, secondo i Giudici della Cassazione che ribaltano la sentenza presa dal giudice di seconde cure secondo cui questa relazione difettava.

Rilevano gli ermellini che il Giudice della protezione internazionale non può fermarsi alla valutazione delle sole ragioni che spingono lo straniero a lasciare il Paese di provenienza, dovendo, al contrario, effettuare un esame dei fatti prospettati anche alla luce delle condizioni socio-politiche generali di suddetto Paese, in ossequio al disposto dell’art. 3, c. 3, lett. a, D.Lgs. 251/2007 (Cass. 15192/2015), per poter legittimamente escludere la sussistenza di rischi in caso di rientro.

Peraltro, ai sensi dell’art. 5, d.lgs. cit., debbono essere presi in esame anche i pericoli gravi provenienti da soggetti privati, laddove è assente un’autorità statale che impedisca tali comportamenti dannosi, come risulta nel caso di specie del nigeriano minacciato dalla ragazza. “Di conseguenza, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione, che si atterrà ai principi di diritto sopra richiamati“.

Sul punto, quindi, la Cassazione, circa la valutazione del caso concreto, ha contemperato non solo gli interessi in gioco – l’integrità del soggetto e l’esigenza al rimpatrio di chi non aveva titolo a dimorare nello Stato Italiano – ma anche tutta quella serie di condizioni sociali, non di meno il retaggio culturale dell’individuo, che ponevano a carico dello stesso quasi una spada di Damocle.

Così muovendosi, risulta chiaro come la strada tracciata sia quella di una minuziosa valutazione della “sussistenza dei rischi” caso per caso. Ed è un primo passo verso una più attenta valutazione della “sussistenza dei rischi” per lo straniero in caso di “rientro in patria” oltre che aver contezza di come per la valutazione degli stessi non si possa prescindere da elementi concreti e non solo di diritto.

Avv. Claudia Cassella del foro di Catania