Cos’è il phubbing? Quali sono le sue ripercussioni sociali?

Cos’è il phubbing? Quali sono le sue ripercussioni sociali?

Chi non ha mai avuto la sensazione al bar, al ristornate o con amici di essere letteralmente ignorato per colpa dello smartphone? Tale atteggiamento ha un nome e viene definito dagli psicologici comportamentisti con il neologismo “phubbing”; il termine nasce nel 2013 dalla crasi delle due parole inglesi “phone” (telefono) e “snubbing” (snobbare/trascurare). Secondo il parere degli esperti, sguainare compulsivamente il cellulare a mo’ di spada dalla tasca o dalla borsa in un qualsiasi contesto sociale è sintomo di un vero e proprio disagio psichico.

Sul sito stopphubbing.com, impegnato nel far conoscere e combattere questa piaga, sono stati pubblicati alcuni dati interessanti: se si dovesse quantificare il fenomeno, ricoprirebbe una porzione della Terra pari a 6 volte la Cina; un sondaggio rivela poi che l’87% degli adolescenti, a livello mondiale, preferisce comunicare via smartphone piuttosto che avere un confronto face to face. Infine, un ulteriore studio, Phubbed and alone: phone snubbing, social exclusion and attachment to social media, pubblicato sul Journal of the Association for consume research dell’Università di Chicago, condotto dai ricercatori Meredith David e James A. Roberts, rivela che in un locale si assiste in media a 36 casi di phubbing ogni sera, ovvero 70 giorni di solitudine all’anno mentre si è in compagnia di altri. Le attività più comuni consistono nella lettura e nell’invio di email, messaggi, chat su WhatsApp, Messenger, Snapchat e anche nel controllo e nell’aggiornamento di Facebook, Instagram, Twitter, Google + e LinkedIn.

New York (19.7 mln), Los Angeles (15.2 mln) e Londra (12.8 mln) sono tra le città in vetta alla classifica in quanto a numero di “phubber”.

La conclusione dei ricercatori è che chi è vittima di phubbing tende a diventarne carnefice; in altri termini, chi viene ignorato snobba a sua volta il prossimo, rifugiandosi sui social media alla disperata ricerca di like, follower, commenti e tutto ciò che si avvicini a un qualche tipo d’interazione, seppur virtuale. Questo comportamento, poi, innescherebbe una spirale di emarginazione, la quale non farebbe altro che deteriorare le relazioni. «Non solo: subire l’esclusione da phubbing chiarisce in un’intervista a la Repubblica Meredith Davidè anche collegato a un indebolimento del proprio benessere psicologico. Infatti, chi viene escluso più spesso per questi atteggiamenti ha fatto registrare più elevati livelli di stress e depressione».

Nello studio della David, che ha coinvolto 330 persone, si è scoperto che circa la metà delle vittime di phubbing ha in seguito trascorso più di un’ora e mezza al giorno con in mano il proprio telefono. Inoltre, il 25% del campione, quasi interamente sui social network. Sono stati gli stessi soggetti ad affermare che hanno scelto di rifugiarsi sui social per sperare di trovare quel genere d’interazione data ormai per persa offline. I commenti e gli apprezzamenti li aiuterebbero a sentirsi più “sicuri di sé”.

«Eppure – spiega sempre la David – nonostante l’obiettivo di dispositivi come gli smartphone sia quello di aiutarci a collegarci con gli altri, in questa particolare situazione non funziona e, anzi, acuisce il problema. I dispositivi digitali ci allontano dalla realtà e fanno allontanare gli altri, in una catena senza fine. In modo ironico e paradossale la tecnologia disegnata per unire gli esseri umani ci ha condotto verso l’isolamento». Il consiglio della dott.ssa, pertanto, è quello di stabilire delle “finestre di tempo libere da smartphone, tablet e PC” da rispettare in situazioni specifiche: mentre si fa l’amore, quando si esce con gli amici, dopo cena, ecc. Quello che manca secondo la studiosa, in ultima analisi, è un’educazione alla socialità reale, ormai sovrastata dalla sua derivata, la virtuale.

Phubbing

Come afferma il cantante Break Free in “Moment”: «Posa il tuo telefono e torna alla tua vita».

Alberto Molino