I terroristi e lo sceicco, Riina e Luciano

I terroristi e lo sceicco, Riina e Luciano

PALERMO – Nell’operazione “Scorpion Fish” avviata dalla Procura di Palermo che ha messo in luce il traffico di terroristi clandestini trasportati dall’Africa nelle spiagge marsalesi, ad opera di bande di criminali mafiosi tunisine, collegate con la delinquenza locale e toscana, affiora anche la responsabilità diretta di uno sceicco, per il quale persino i servizi segreti sono al lavoro, alla ricerca di una sua identificazione. Ci troviamo di fronte ad una nuvola grigia talmente ampia e intensa che non sarà facile poterne uscire in tempi nemmeno relativamente brevi, considerato che la Jihad attacca persino il cuore politico dell’Iran, mentre il Qatar viene emarginato dalla Comunità araba, visto che schiaccia l’occhio al Califfo dell’Isis. Insomma, uno scenario di terrore che vive in parallelo con gli attacchi in Gran Bretagna, Francia e Germania.

Gli antichi saggi dicevano: “Chi non conosce il proprio passato, non ha futuro!”. Vuol dire che le esperienze passate, decantate anche dalla storia aiutano a contrastare le avversità attuali. Ci proviamo e non andiamo molto lontano nel tempo: il ruolo di Lucky Luciano, sullo “sbarco degli Angloamericani in Sicilia” nell’estate del 43’, non fu marginale, ma, ritenuto dal Governo americano del tempo, ampiamente necessario per consentire che la famosa operazione bellica contro i Nazifascisti avvenisse con successo. I vertici militari americani si servirono di Lucky Luciano, al secolo Luciano Lucania, famosissimo gangster siculo americano condannato a 50 anni di carcere, per rendere più facile e celere l’occupazione della Sicilia. La collaborazione servì per preparare le basi di un’accoglienza amica e favorevole dei siciliani, in modo da ammorbidire le azioni nemiche, avendo il benestare dei siciliani, nei confronti delle forze armate italo-tedesche presenti nell’Isola. Negli Stati Uniti si erano registrati all’inizio degli anni ‘40 veri e propri disordini con scioperi e sommosse da parte dei lavoratori del porto di New York e quando gli stessi dovettero entrare in guerra scoprirono che i loro porti non erano sicuri. Nelle fabbriche ancora si scioperava e i sommergibili nemici riuscivano a spingersi fin sotto le coste americane. Una serie di attentati diffuse la paura che numerose spie si fossero infiltrate negli Stati Uniti. Alcuni sabotatori vennero catturati, processati e giustiziati. La Cosa Nostra di Lucky Luciano dimostrò tutta la sua capacità di muoversi come uno stato autonomo, e in un grande evento come la 2° Guerra Mondiale riuscì a trovare un’occasione per accrescere la sua forza. I cantieri della Marina Militare di New York stavano lavorando sul “Normandie”, che era il transatlantico più veloce del mondo e poteva sfuggire ai sommergibili tedeschi trasportando truppe in Europa. Una mattina, al risveglio, la città vide una coltre di fumo nero alzarsi dal porto sopra la nave rovesciata. L’idea del sabotaggio era venuta ad un uomo di Luciano, Albert Anastasia. La mafia americana voleva dimostrare ai militari che esisteva anche la “Cosa Nostra”. Il capo di Stato maggiore ammiraglio Aftden e lo stesso procuratore Lhuy, approvarono la segretissima operazione Underworld. In pratica bisognava trattare con “Cosa Nostra”. La guerra non concedeva tempo; i servizi segreti americani si rivolsero alla malavita organizzata del porto, prima per sedare le azioni sindacali e poi per stringere patti intesi a pianificare accordi con la malavita siculo americana per l’invasione in Sicilia. I servizi segreti della Marina militare statunitense presero contatto con il boss del porto Joseph Lanza. Quando questi si vide davanti quegli ufficiali dall’aria misteriosa, li spedì da Frank Costello; quest’ultimo li lasciò parlare e poi li indirizzò da Meyer Lansky, Lansky ascoltò la loro proposta, alzò gli occhi al cielo e disse che solo Lucky Luciano poteva decidere su un affare simile.

La collaborazione con la mafia americana si sarebbe prolungata con lo sbarco in Sicilia, la più grande operazione navale mai tentata nella storia. Si racconta di un carro armato solitario che avrebbe raggiunto la località di Villalba, nell’entroterra siculo. Secondo la leggenda, un militare americano avrebbe chiamato col megafono Don Calogero Vizzini e gli avrebbe consegnato il segnale di collaborazione con la mafia: un fazzoletto con la “L” di Lucky Luciano. Ma non c’è bisogno di questa leggenda, in piena zona di guerra un combact cameraman riprese dal vivo la barca di un pescatore che portava un uomo d’onore a bordo di una nave militare, pronto per arrivare in Sicilia e portare la missiva che conteneva le proposte di accordo con le famiglie mafiose locali ed in particolare con Calogero Vizzini, il futuro sindaco di Villalba nominato dall’AMGOT, dove Charles Poletti, ufficiale americano, assumeva il ruolo di capo degli Affari Civili. Lucky Luciano coinvolse molti uomini d’onore, come Joe Profaci e Vincent Mangano di New York, Joe e Frank De Luca di Kansas City, Tony Lopiparo e Thomas Buffa di San Louis. La condanna a mezzo secolo di Lucky Luciano svanì nel giro di poco tempo, anzi venne proposta, per lui, una medaglia del Congresso, quasi si trattasse di un eroe di guerra. La pratica per la medaglia venne molto presto trascurata, Luciano venne spedito in Italia, in esilio, ma da uomo libero, dove condusse una vita molto riservata e parecchi anni dopo, a Napoli, morì di morte naturale.

Adesso aspettiamo con ansia la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Bologna: il prossimo 7 luglio si dovrà decidere sulla liberazione o meno di Totò Riina, con la scusa che, essendo in fin di vita, si potrà inviare a casa ad esalare il suo ultimo respiro. E partendo dal proverbio: “l’erba tinta nun mori mai!”, perché non approfittarne? Lo Stato italiano potrebbe convincere il boss di Corleone, chissà promettendo anche a lui una medaglia al valore, ad aiutarci a sconfiggere il terrorismo islamico, prima che arrivi a colpire anche in Italia e, chissà, anche a catturare quell’altro “Matteo” ma che di cognome fa Messina Denaro, la cui leggenda sulla perenne latitanza è diventata una vera e propri farsa “a usu Pirandellu!”, così si potrebbero tappare le bocche dei parenti delle vittime che gridano di lasciarlo marcire in carcere, come qualsiasi cittadino vorrebbe.

Giuseppe Firrincieli