La dislipidemia aterogena del diabetico: impatto della terapia con fibrati

La dislipidemia aterogena del diabetico: impatto della terapia con fibrati

Le principali Linee Guida internazionali considerano i pazienti diabetici come soggetti ad elevato rischio cardiovascolare; infatti, i pazienti con diabete di tipo 2 possiedono un rischio di morte per malattia cardiovascolare da 2 a 4 volte superiore rispetto ai pazienti non diabetici con caratteristiche demografiche simili. Inoltre, in questi stessi pazienti, anche le complicanze microvascolari (nefropatia, retinopatia) rappresentano un’importante causa di disabilità e di peggioramento della qualità di vita.

La dislipidemia aterogena (elevati livelli di colesterolo LDL e trigliceridi e bassi livelli di colesterolo HDL) costituisce uno dei fattori di rischio maggiori per malattie cardiovascolari del paziente diabetico e la sua correzione rappresenta uno degli obiettivi principali del controllo del rischio cardiovascolare in tali pazienti. Se da una parte le evidenze derivate dai trial clinici dimostrano chiaramente l’efficacia della terapia ipocolesterolemizzante con statine nella riduzione di eventi cardiovascolari, dall’altra sempre maggiori evidenze suggeriscono che il quadro dislipidemico del paziente diabetico, spesso, non viene completamente risolto da tale intervento, essendo la dislipidemia aterogena caratterizzata da un incremento dei valori di trigliceridi ed una riduzione dei valori di HDL colesterolo (fattori scarsamente influenzabili dalla terapia con statine).

Negli ultimi anni, numerosi studi clinici sono stati condotti al fine di modificare i principali fattori di rischio lipidici e non nel soggetto diabetico. Tra di essi, va annoverato lo studio ACCORD, il quale si è posto l’obiettivo di valutare l’impatto del trattamento con simvastatina+fenofibrato versus simvastatina nella riduzione di eventi cardiovascolari maggiori (morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale, ictus non fatale) nella popolazione diabetica affetta o meno da dislipidemia. La scelta del fenofibrato, come farmaco d’intervento dopo simvastatina si è basata sulla documentata efficacia del farmaco nel controllo della dislipidemia aterogena e sulla sua maneggevolezza terapeutica, non presentando interazioni farmacocinetiche e farmacodinamiche rilevanti con le statine. I risultati ottenuti hanno mostrato che il trattamento con simvastatina+fenofibrato ha determinato, nella popolazione affetta da dislipidemia aterogena, un incremento del 13% circa del colesterolo HDL ed una riduzione del 35% dei trigliceridi plasmatici nonché una ridotta progressione verso la micro o macroalbuminuria. Tale dato inoltre si riflette sugli eventi cardiovascolari; infatti, è stata ottenuta una riduzione altamente significativa (31%) del rischio relativo di sviluppare gli eventi cardiovascolari maggiori nel sottogruppo con TG ≥204 mg/dl e HDL-C ≤34 mg/dl con un number to treat (NNT) di 20 (largamente favorevole). Inoltre, un sottostudio dell’ACCORD (ACCORD EYE), che ha incluso circa 1.600 soggetti di cui il 50% senza retinopatia, il 18% con retinopatia lieve ed il 30% con retinopatia non proliferativa moderata, ha avuto l’obiettivo di valutare l’impatto della terapia con fenofibrato/simvastatina versus simvastatina sulla progressione della retinopatia diabetica, quale marker di danno microvascolare.

Lo studio ha mostrato, nei pazienti trattati con l’associazione fenofibrato/simvastatina, una riduzione del 40% della progressione della retinopatia con un NNT di 27. Nell’insieme, dunque, si può concludere che, sia per quanto riguarda gli eventi macrovascolari (morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale, ictus non fatale) che quelli microvascolari (retinopatia, micro- e macroalbuminuria) la terapia con fenofibrato in associazione a statina determina una netta riduzione della mortalità e della morbilità nei pazienti diabetici affetti da dislipidemia aterogena.

Massimo Buscema