Oltre 6 milioni di euro nelle casse del Comune: c’è anche “A Scuola in Bici”

Oltre 6 milioni di euro nelle casse del Comune: c’è anche “A Scuola in Bici”

CATANIA – 6.230.000,00 euro, complessivi, non un milione!

Leggiamo e rileggiamo le carte, per un pomeriggio intero, increduli, e continuiamo a fare calcoli su calcoli, temendo di sbagliare, di aver letto male, ma la cifra stanziata per Catania con decreto del direttore generale della Direzione per la Salvaguardia dell’Ambiente è proprio quella: 6.230.000,00 euro.

La somma comprende anche il progetto “A Scuola in Bici”: un clamoroso fallimento a detta dei referenti scolastici.

foto (2)

Questi soldi sottratti al Fondo per la Mobilità Sostenibile nelle Aree Urbane piovono nelle casse del Comune di Catania nel 2007, infatti il dieci dicembre di quell’anno avviene la stipula dell’accordo di programma. Quattrini che avrebbero dovuto migliorare la qualità della nostra aria e potenziare il trasporto pubblico urbano.

Ma intanto continuiamo la nostra inchiesta su “Scuola in Bici”. Ed ecco che vengono fuori, man mano, i nomi delle persone che hanno lavorato, a vario titolo, al progetto: consulenti, dirigenti, funzionari, referenti scolastici, imprese, tecnici riparatori, ed anche le assicurazioni.

Ieri ancora un giro per le scuole che hanno aderito all’iniziativa dopo che i due architetti palermitani Salvatore Caradonna e Francesco Amodeo illustrarono tutti gli elementi salienti del progetto. “Esso parte il 5 maggio del 2010 – ci ha spiegato un professore del liceo Cutelli – vengono stipulate due polizze una contro terzi e una personale con l’Ina Assitalia per un costo di oltre dodicimila euro”.

Queste polizze scadono a luglio 2011. A settembre di questo stesso anno, inizia la scuola ma le assicurazioni non vengono rinnovate e comincia un botta e risposta telematico fra referenti scolastici, architetti e provveditorato agli studi nella figura della dottoressa Rosita D’orsi.

“Le biciclette erano lì, ferme perché non si potevano utilizzare – continua il docente – Vengono inviati diversi solleciti e a fine novembre ci viene detto che era tutto pronto per aggiudicare una nuova gara assicurativa che, di partire parte, ma in maniera sempre parziale”.

E aggiunge “C’era anche questa ditta di Torino, Comunicare s.r.l., che aveva ottenuto l’appalto per l’installazione e la manutenzione del servizio di bike sharing, ma il tecnico, proprio perché per ogni guasto doveva farsi un viaggio in aereo, si è presentato pochissime volte tanto che in alcuni casi le abbiamo riparate a nostre spese”.

Anche nelle altre scuole ci è stata riferita la stessa versione dei fatti e al Marconi questo “specialista dei ripristini” si sarebbe presentato solo una volta: pensate, è volato da Torino a Catania… per gonfiare le ruote e andarsene. 

“Ci viene detto che avrebbero segnalato di lì a poco una ditta locale che si sarebbe occupata della cura delle bici. Ma questo non è mai avvenuto e queste biciclette sono rimaste in pessimo stato”. 

L’affaire milionario continua, i soldi vengono intascati ma delle biciclette non gliene frega niente a nessuno.

Arriviamo a novembre 2012 e la patata bollente della cura e dei ripristini, al Comune di Catania passa nelle mani della dottoressa Daniela Calenduccia che messa al corrente del pessimo stato delle biciclette chiede a tutti i referenti di compilare una scheda tecnica di controllo indicando i danni di ogni bici e inviarla per posta o a lei in prima persona o direttamente al tecnico designato dal Comune per l’occasione, Giovanni Bella.

Tale signore, rendendosi conto dello stato in cui versavano le biciclette, richiede diversi pezzi di ricambio alla ditta di Torino che li consegna al rivenditore solo a febbraio 2013 perché pare che “li abbiano dovuti creare apposta”.

Ma sbaglio o parliamo di normalissime biciclette? Cosa avrebbero dovuto creare di tanto tecnologico?

Insomma c’è qualcosa che non convince in tutto questo.

Inoltre anche l’ultima polizza assicurativa scade il 3 dicembre 2012 e da quel momento le biciclette non vengono più utilizzate nonostante il progetto durasse tre anni. Oggi catene, cavi e pedali sono arrugginiti, le batterie di quelle a pedalata assistita sono scariche e in diversi casi ci sono problemi all’impianto elettrico.

Acquisto delle bici, assicurazioni (sia pure parziali), indennità ai referenti, consulenze a professionisti ed al tecnico riparatore:  milioni di euro a destra e milioni a manca e poi? Questi 6.230.000 euro per la mobilità sostenibile in cosa sono stati spesi? In che modo? Ma sono stati tutti spesi oppure sono rimasti in qualche piega del bilancio, non utilizzati e quindi andati in perenzione, fine che fanno, come sanno  i tecnici contabili, le somme non spese?

Ma i conti non tornano, comunque. Non osiamo immaginare che, invece, euro in quantità al momento non quantificabile, siano finiti nel bilancio di qualcun altro. Siamo in presenza di una “manciugghia”? Qualcuno se li è pappati?

È il caso che l’inchiesta non rimanga solamente giornalistica e che si verifichi, da parte di altri organi investigativi, quali somme sono realmente arrivate, quante ne sono state spese e dove sono finite quelle non utilizzate per il progetto.