Il Data Journalism è il futuro del giornalismo?

Il Data Journalism è il futuro del giornalismo?

Che il comparto giornalistico sia in crisi ormai da una decina d’anni è cosa nota: redazioni ridotte all’osso, contratti di solidarietà, riorganizzazione degli organici, testate cartacee in perenne chiusura, siti che non decollano per visualizzazioni e crollo degli introiti pubblicitari. E per chi se lo stia chiedendo o non lo sapesse ancora, la colpa è di Internet e, più in particolare, dell’avvento dei dispositivi digitali che hanno, velocemente, cannibalizzato l’informazione.

Eppure, Marco Pratellesi, direttore del sito del settimanale l’Espresso e docente alla scuola di giornalismo “Walter Tobagi” di Milano, nel suo libro “New Journalism. Dalla crisi della stampa al giornalismo di tutti“, è fermamente convinto che sia ancora il momento migliore per essere un giornalista. Perché? Se da un lato le nuove tecnologie hanno “imbastardito” il mestiere, dall’altro, per chi ne è in grado, hanno prodotto, riadattato, elaborato, lanciato nuove e alternative forme di reporting. Tra gli esempi più significativi si trova il Data Journalism, che vuol dire letteralmente “giornalismo basato sui dati”.

Secondo Simon Rogers, editor in chief del the Guardian, nasce dalla sinergia tra la classica inchiesta giornalistica e la raccolta e il trattamento di dati espressi in cifre (datamiming). Invero, negli Stati Uniti d’America è stato a lungo indicato con l’acronimo CAR (Computer Assisted Reporting) dal momento che, come sottolineano Marzia Antenore ed Elisabetta Trinca nel saggio Data Journalism «Made in Italy», l’analisi, qualsiasi essa sia, si svolge quasi sempre con il computer.

La pratica trova la sua origine nel 1952, durante la campagna presidenziale di Eisenhower; quest’evento segnò, per la prima volta nella Storia, la comparsa di elementi grafici e statistiche. Ai nostri giorni, i “data elements” che ampliano l’articolo, trasformandolo in un pezzo data-driven, sono: static map, list, table, istogrammi, grafici a torta, a barre, a dispersione, ad area, timeline, infografiche, sondaggi e textual analysis.

In base alle indagini condotte, “Data Journalism in the UK: a preliminary analysis of form and content“, dalla ricercatrice britannica Megan Knight, solitamente accompagnano argomenti che ricadono dentro le macrocategorie: attualità, cronaca, politica interna, politica estera, società, tecnologia, salute, intrattenimento, lifestyle, ambiente. Inoltre, Knight ha individuato due dimensioni tipiche del giornalismo dei dati: complexity e visual appeal. La prima è relativa al volume di dati presenti in un articolo, la seconda all’aspetto con cui vengono presentati questi ultimi per renderli attraenti agli occhi dei lettori.

In Italia il Data Journalism è ancora considerato una pratica di nicchia, portata avanti solo da pochi specialisti che, il più delle volte da autodidatti, sono riusciti a sviluppare competenze trasversali (analisi e manipolazione dei dati) oltre a quelle tradizionali (storytelling e fiuto per la notizia) del giornalismo vecchia scuola. Ciò nondimeno, testate come Il Sole 24 Ore, Corriere della Sera, la Repubblica e il Messaggero si stanno, a poco a poco, aggiornando. L’obiettivo, espressamente dichiarato dai direttori, è quello di esercitare un maggior controllo sui dati della PA, oltreché vagliare, sintetizzare e divulgare quella parte significativamente rilevante dell’enorme mole d’informazioni (big data) disponibile in Rete.

Le leggi italiane, tuttavia, da questo punto di vista sono rigide per garantire nella giusta misura apertura e accountability. La n. 241/1990 sul procedimento amministrativo e il decreto legislativo n. 33/2013 riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, ad esempio, seppure obblighino all’accessibilità totale a dati e documenti della PA, limitano ancora la conoscibilità di alcune informazioni.

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Il Data Journalism è, dunque, il futuro del giornalismo? Probabilmente no, ma senz’altro capire, da parte dei giornalisti di oggi e di domani, che veste grafica, dati e articolo fanno sempre più parte di un unico pacchetto è una delle tante soluzioni per rispondere al quesito.

Alberto Molino