Catania, Ubaldo Ferrini e le riflessioni di un dj: come cambia il modo di fare radio

Catania, Ubaldo Ferrini e le riflessioni di un dj: come cambia il modo di fare radio

CATANIA – Ubaldo Ferrini e la radio sono un binomio indivisibile. Nel corso degli anni è stato capace di far diventare una semplice passione adolescenziale una vera professione fino ad arrivare a conquistare, oltre al cuore di molte giovani aspiranti fidanzate del dj più famoso delle notti siciliane anni ottanta, traguardi professionali importanti. Da tre anni, novità assoluta per la Sicilia, si occupa di formare professionisti da inserire nel mondo radiofonico con il corso di Radio Academy.

Lo incontriamo, poco prima dell’inizio di una nuova lezione nei locali di Viagrande Studios, approfondendo le diverse tappe che hanno caratterizzato e caratterizzano il mondo della comunicazione.

Qual è, secondo lei, la giusta direzione che dovrebbe prendere il mondo della radio?

“Imparare dal passato per guardare al futuro. Gli sponsor bisogna conquistarli non inseguirli evitando di piegarsi alle loro esigenze. È necessario creare programmi originali ottenendo così ascolti soddisfacenti e inserzionisti disposti a scommettere. Troppa gente brava è fuori e molti con poca inventiva fanno un lavoro che non dovrebbero fare. Questo nuoce ai professionisti che si trovano a combattere battaglie impari in situazioni difficili. Chi gestisce una radio dovrebbe alzare la testa dal computer, uscire dalla propria stanza e capire quali siano le reali esigenze e metterle in pratica”.

Un articolo del “Fatto Quotidiano” descrive la radio di oggi come una nuova forma spietata di tortura. Cosa ne pensa?

“Conosco il pezzo e purtroppo quest’articolo dice un sacco di verità senza filtri e senza remore. Descrive quello che qualunque persona che ne capisca un minimo anche per sentito dire dovrebbe pensare”.

Ma entriamo nello specifico. Il suo discorso è riferito alle realtà nazionali o locali?

“La moda imperante tra le radio locali è imitare gli spunti peggiori di cose che dovremmo assolutamente evitare. Ci sono state Radio Dee Jay dei migliori tempi di Amadeus, Albertino o Linus e R101 degli inizi con un palinsesto di spessore ed una colonna sonora definita che erano degli ottimi esempi. Nella nostra città, prima che le radio nazionali si somigliassero un po’ tutte, abbiamo avuto realtà come Catania International con una redazione giornalistica che anche oggi farebbe invidia alla Rai con programmi di intrattenimento con alcune delle migliori voci che ci siano mai state in Sicilia. È giusto ricordare anche gli anni sperimentali di CTA 104 che ha insegnato musica e cultura con nomi di prestigio rimasti nella storia”.

In pratica tutti imitano nel bene e nel male grandi realtà come RTL?

“Niente di più sbagliato, perché dovremmo chiederci quanto le canzoni suonate da una radio nazionale abbiano una qualche attinenza con i gusti e le tradizioni di una città e di una regione tra l’altro storicamente abituata a ben altre sonorità. In ogni caso un network ha molteplici motivi per suonare dei brani ed escluderne altri, logiche ed opportunità che non esistono in una piccola realtà che potrebbe quindi scegliere liberamente in perfetta autonomia, conoscenza del territorio e della storia della musica non solo degli ultimi 30 tormentoni”.

Cosa ne pensa della radiovisione nella nostra città?

“Mi sfugge il senso di imitare le grandi radio a tutti i costi, senza tenere conto delle reali possibilità esistenti anche dal punto di vista economico. Molte radio locali hanno una ricezione pessima, senza esagerare, anche nello stesso quartiere. Sono convinto che solo chi ha la capacità e la forza di poter gestire il vantaggio che offre la radiovisione debba utilizzarlo garantendo visibilità e ascolti sempre più ampi”.

Cosa consiglia a chi vuole intraprendere la professione della radio?

“Il successo di una radio non è parlare poco, salutare tutto il condominio e suonare Reggaeton e ‘nuovi talenti’ tutto il giorno. Ascoltiamole con attenzione le radio prima di cimentarci a farle, non restiamo nel 1976 pensando di essere nel 2030. Andiamo ad imparare e poi proviamo a fare, cercando di trovare un pizzico di originalità che l’età per copiare per giunta sbagliando dal primo della classe l’abbiamo passata tutti da un pezzo”.

Elisa Guccione