“Ma cu minchia è Jefferson?”. La Festa della DisUnità si è conclusa. Il  sunto del nulla

“Ma cu minchia è Jefferson?”. La Festa della DisUnità si è conclusa. Il sunto del nulla

CATANIA ­- “Scusate, ma cu minchia è Jefferson?”. La domanda, improvvisa, spontanea, netta sembra riecheggiare fra i, pochi, cittadini in attesa che appaia Matteo Renzi. È la giornata di chiusura della prima festa nazionale del Pd in Sicilia. Sul palco della Villa Bellini il segretario provinciale etneo Enzo Napoli ed il segretario regionale Fausto Raciti scaldano il pubblico con banalità sull’11 settembre, si autoincensano, si fanno i complimenti per un successo della manifestazione che hanno visto solo loro.

Nell’orgasmo del “parolare” (ci perdoni per la citazione Pessoa), ecco il lampo che illumina, che rivela tutto. “Ci tengo a ringraziare i volontari – declama Napoli con tono emozionato – sono stati eccezionali. Vorrei elencare i nomi di tutti, ma sono davvero molti e ognuno meritevole del nostro più sentito riconoscimento. Senza fare torto ad alcuno desidero, però, menzionarne uno per tutti: JEFFERSON.” Alza il tono e scandisce bene “JEFFERSON. È stato il primo a contattarmi quando è stata avviata l’organizzazione della festa, a mettersi a disposizione con determinazione. GRAZIE, è così che nascono i politici su cui avere fiducia in futuro”.

Silenzio. Poi alcuni applausi incerti, perplessi. E quello “Scusate, ma cu minchia è Jefferson?”. Che invita alla ilarità. E all’inquietudine. Perché così come affermerà dopo lo show renziano il deputato regionale Nicola D’Agostino: “L’unica, vera notizia è che in questi giorni non è successo niente. Una manifestazione inutile”. 

È stata la Festa della DisUnità. Un fallimento, anche se chi l’ha organizzata si racconta altro. Un documentario senza censure sullo stato del Pd in Sicilia. Che è una palude dove i pericoli sono ovunque, ti avvicini alla sponda e rischi di essere azzannato. Una faida interna che non è stata celata da chi appartiene alle opposte fazioni. Così ti capitava di ritrovarti accanto al deputato regionale che chiama accanto a sé un gruppetto di amici e smanettando sullo smartphone si chiede sornione “Se un video su Facebook con 1649 visualizzazioni non ha un mi piace, cosa vuol dire?”. Uno degli amici: “Che è una cavolata pazzesca. Ma di chi è il video?”. Il deputato: “Di Crocetta”. E vai con le risate con sussulto, mentre un altro col pugnale fra i denti stiletta “Crocetta il traditore”.

Lo stesso Crocetta che poi snobberà Renzi in persona, che vedremo ridere e dialogare amabilmente mentre il premier parla con la sedia del presidente della Regione vuota in prima fila.

Zanne. Artigli. Zanne e artigli ovunque. Soprattutto nel forziere della Sicilia da violare ancora. Della Sicilia da denudare, sfruttare, illudere, vendere, abbandonare. Il Pd ha voluto la manifestazione catanese per sperare di potere essere il primo a compiere l’ennesimo scempio, il saccheggiamento di voti necessari per mantenere lo status quo, per rammendare le poltrone.

In Sicilia ha cinicamente avviato la campagna elettorale, implorato la vittoria del SI al referendum, sventolando i 5 miliardi del Patto per la Sicilia siglato ad Agrigento. 5 miliardi che non si sa come saranno spesi, quando. Quando? Come? Fatti. Concretezza. Nulla. Numeri per fare scena, colpi di teatro, soldi come se piovesse, ma per irrorare chi? Per fare fiorire cosa? Cosa è venuto a fare in Sicilia il Pd? I fatti, i programmi, i progetti, il dannato, agognato nero su bianco con responsabili da tenere d’occhio dov’è? Si organizza un evento che impalla il secondo capoluogo più importante della regione per realizzare cosa? Evidentemente si ritengono i siciliani degli idioti, degli ammuccalapuni ai quali fare ingoiare di tutto. È la prova definitiva che per chi governa la Sicilia è una terra babba, da girare, rigirare e raggirare senza sosta, sistematicamente, bellamente.

In Sicilia il Pd ha cinicamente fatto quel che gli andava di fare. Dalla occupazione arrogante di uno dei, pochissimi, luoghi che i cittadini possono frequentare quotidianamente per rilassarsi quel Giardino Bellini fatto militarizzare fino al ridicolo, costringendo le Forze dell’Ordine a sacrificare personale ed a sottrarlo alla difesa dei cittadini ­alle passerelle ad uso e consumo interno, per favorire chi sta sulla scia di Renzi e mortificare chi non si slancia convinto col cuore gonfio d’amore per lui.

La Festa della, assente, dignità. Perché dopo quanto avvenuto nella giornata di chiusura dovremmo assistere ad una emorragia di deputati, al lancio di tessere di partito strappate. Perché la faida, l’assenza di rispetto per la Sicilia, di sincero interesse per la sua rinascita è perfettamente raccontato da quel che vi abbiamo documentato, il Renzi inavvicinabile anche da chi fa parte integrante del Pd, da chi lo rappresenta nel parlamento nazionale, in quello regionale, nelle amministrazioni, nelle segreterie, nelle commissioni. Respinti, messi alla porta, a Catania, dove sono giunti da tutta la Sicilia, dove il premier avrebbe dovuto abbracciarli, incoraggiarli, sostenerli, ascoltarli. Senza la loro presenza, avrebbe parlato agli addetti alla sicurezza ed alla ristorazione, Renzi. Perché l’assenza di interesse della gente per il circo piddino è stata ancor più manifesta nella giornata del leader, del leader di nessuno, ascoltato da una platea misera, spoglia, che non si giustifica con la pioggia, durata poco e terminata prima che Renzi si presentasse.

Ecco perché quella espressione fra l’ironico e la sincera incomprensione sintetizza tutto. Si è conclusa la prima festa nazionale del Pd in Sicilia e ci si chiede… “Ma cu minchia è Jefferson?”.

Alessandro Sofia