Dai robot agli esoscheletri: storia dell’ibridazione uomo-macchina

Dai robot agli esoscheletri: storia dell’ibridazione uomo-macchina

Gli esoscheletri si possono definire “sistemi robotici con lo scopo di supportare il corpo umano per renderlo più efficiente e forte”. Li abbiamo visti in film quali Avatar, Matrix e Iron Man, ma nella realtà esistono? A quanto pare sì.

In Italia, all’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, il dott. Nicola Vitello e il suo gruppo di ricerca hanno creato APO (Active Pelvis Orthosis), il primo esoscheletro per la camminata assistita. Il sistema, composto da due gambe artificiali agganciate a uno zaino, serve a ridare ritmo e scioltezza nei movimenti ai soggetti con gravi difficoltà motorie. In un’intervista a Focus, Andrea Parri, uno dei progettisti, spiega che «bastano i sensori installati nello zainetto per consentire al computer di bordo di “capire” le intenzioni della persona e di conseguenza quanta potenza fornire e in quale fase della camminata». L’unico difetto di APO è la scarsa autonomia della batteria, della durata di un giorno.

Un altro involucro di metallo intelligente, ma stavolta ben diverso, è stato progettato al PERCRO (Laboratorio di Robotica Percettiva) di Pisa. Denominato Body Extender, secondo la descrizione del giornalista Roberto Graziosi, lo si può considerare «il più complesso sistema robotico indossabile al mondo». In effetti, Body Extender, del peso di 170 kg e composto da 22 articolazioni in acciaio e alluminio, consente, senza creare impaccio nei movimenti, di moltiplicare la forza dell’operatore di circa 20 volte e di sollevare, quindi, fino a 100 kg. Stando alle parole di Fabio Salsedo, uno dei creatori dell’esoscheletro, in futuro il suo impiego potrebbe risultare utile «in quegli stabilimenti dove si assemblano navi o vagoni ferroviari. Oppure durante le operazioni di soccorso a seguito di una calamità naturale».

Come con APO, sebbene sia molto più ingombrante, per controllarlo non occorre nessuno strano collegamento col cervello, basta semplicemente “accennare” il movimento desiderato con gli arti superiori o inferiori e il sistema di riconoscimento computerizzato sarà in grado di replicarne l’intenzione.

Ultimo gioiellino, appartenente alla famiglia dei prototipi sviluppati in Italia, è ALEX (Arm Light Exoskeleton). La tecnologia da esso utilizzata prende il nome di “tendine artificiale”, perché entra in funzione tramite un filamento d’acciaio che si srotola e riavvolge intorno a un motorino elettrico e serve, principalmente, per assistere coloro che presentano problemi di mobilità alle braccia. I ricercatori dell’IIT (Istituto italiano di tecnologia) di Genova sperano che un giorno ALEX possa divenire una vera e propria protesi sostitutiva.

Active Pelvis Orthosis

Niccolò Boccardo, nel team dei progettisti, racconta sempre a Focus che per poter raggiungere tale obiettivo è stato creato un «cavo in tessuto organico» collegato, da una fessura sul pollice, al sistema nervoso. «In questo modo – continua Boccardo nell’intervista – basta un breve addestramento per imparare a controllare (col cervello, ndr) la “mano bionica”».

Tra gli istituti coinvolti nei finanziamenti si trovano l’INAIL (Istituto Nazionale per gli Infortuni sul Lavoro) e il laboratorio Rehab Technolgies dell’IIT.

ALEX (copertina)

 

La ricerca procede. Se tra qualche anno gli esoscheletri avranno una concreta applicazione in ambito sanitario o nel comparto industriale, non ci si dovrà più stupire dell’ibridazione uomo-macchina, in fondo già in atto.

Alberto Molino