Colpito il patrimonio di Capizzi, l’assassino del maresciallo Guazzelli

Colpito il patrimonio di Capizzi, l’assassino del maresciallo Guazzelli

AGRIGENTO – Colpito il patrimonio della famiglia Capizzi. La Direzione Investigativa Antimafia di Agrigento ha confiscato i beni a Simone Capizzi, 73 anni, e al figlio Giuseppe, entrambi originari di Ribera, in provincia di Agrigento.

Sono considerati elementi di spessore di Cosa Nostra agrigentina. E proprio Simone Capizzi, conosciuto come Peppe, deve scontare l’ergastolo per l’omicidio del maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli, ucciso 24 anni fa. 

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La sua ascesa mafiosa è coincisa con l’uccisione nel 1983 del boss riberese Carmelo Colletti. Infatti, subito dopo, proprio a Capizzi è stato affidata “la gestione mafiosa” su ordine di Salvatore Riina e di altri esponenti dei mandamenti della provincia di Agrigento.

Il figlio Giuseppe è stato arrestato, invece, a luglio 2006 perché accusato di associazione per delinquere di stampo mafioso ed è stato condannato a otto anni di reclusione. Ma subito dopo, sempre la Corte d’Appello lo ha condannato ad altri dieci anni per estorsione aggravata. Lui è stato ritenuto organico a Cosa Nostra riberese con un ruolo di spessore provato dagli stretti rapporti che aveva con l’ex latitante Giuseppe Falsone.

A rendere ancora più chiaro il quadro, sono stati i pizzini sequestrati a Bernardo Provenzano e Antonino Giuffrè che parlavano proprio del conflitto sorto fra Giuseppe Capizzi e Giuseppe Grigoli, imprenditore trapanese del settore alimentare, considerato prestanome di Matteo Messina Denaro. 

In sostanza, Capizzi aveva un debito con Grigoli per forniture alimentari al Despar di Ribera e per questa diatriba i capi mafiosi delle province di Agrigento e Trapani avevano investito il boss Provenzano attraverso una copiosa corrispondenza epistolare. 

Il provvedimento di confisca di oggi, è stato emesso dalla Prima Sezione Penale del Tribunale di Agrigento, e ha riguardato 10 terreni e 3 fabbricati per un valore di 800 mila euro. Dalle indagini della Dia sarebbe emerso, infatti, che negli anni ’90 alcuni soggetti, intestatari degli immobili, avevano venduto o promesso in vendita sia i terreni sia i fabbricati alla famiglia Capizzi, per eludere provvedimenti ablativi.