Testimonianza choc di uno studente: “La mia famiglia è mafiosa ma ho deciso di cambiare il mio destino”

Testimonianza choc di uno studente: “La mia famiglia è mafiosa ma ho deciso di cambiare il mio destino”

PALERMO –  Rivelazione choc di uno studente durante la conferenza “L’antimafia della Chiesa – la sua evoluzione dal XX secolo ad oggi, da Sturzo a Papa Francesco” quinta Conferenza del progetto educativo antimafia 2015-2016, promossa dal Centro Pio La Torre.

Durante i tanti interventi uno studente ha deciso di lanciare la sua testimonianza: “Io ho parenti condannati per mafia. Non ho paura di affermarlo qui, davanti a tutti, perché ho deciso di cambiare il mio corso, quello della mia famiglia. Dobbiamo deviare, tagliare questo filo perverso. Perché lo Stato non investe nella cultura, nella prevenzione, nella partecipazione?“.

Ma lo Stato se ne frega – ha aggiunto davanti a una platea di studenti, docenti ed esperti – non interviene davvero per estirpare le radici di questo male. Si dice che lo Stato siamo noi, ma ciò è vero fino a un certo punto. Tante cose noi non possiamo farle, solo le istituzioni a un certo livello possono intervenire per combattere nel cuore la mafia, colpendo le cause sociali e culturali“.

Parole che ricordano Peppino Impastato, Rita Atria e tutti quei giovani, che nonostante l’appartenenza a famiglie mafiose, hanno deciso di cambiare il proprio destino, a qualunque costo.

Il coraggio, la voglia di riscatto, la sete di legalità che testimoniano come nelle nuove generazioni la lotta alla Mafia c’è ed è forte. 

Quello che emerge, ed è il dato più allarmante, è la disillusione nei confronti dello Stato e della politica, una disaffezione pericolosa.

L’incontro di oggi al centro Pio La Torre analizza i rapporti tra Chiesa e Mafia nel XX secolo: dalla convivenza, l’omertà, di alcuni sacerdoti, alle dichiarazioni di lotta e contrasto che da Don Sturzo arrivano alla scomunica di Papa Francesco, passando attraverso il martirio di padre Pino Puglisi e le omelie infuocate del cardinale Pappalardo.

Al centro dell’incontro il ruolo che la gerarchia ecclesiastica deve avere nel debellare il fenomeno mafioso.

La mafia è un fenomeno anti-Stato e un’anti-religione. Ha un delirio di onnipotenza che la porta a creare un Dio a propria immagine e somiglianza. Al suo interno ha codici, riti, leggi, lavoro, riconoscimenti, procedure. Serve la grande forza spirituale della Chiesa e di chi crede per combattere una organizzazione così radicata e potente, prendendo da essa le distanze con forza“.

Nelle parole di monsignor Antonino Raspanti, vescovo di Acireale, riecheggiano quelle di Papa Francesco.

 “Dopo una fase di silenzio – continua Raspanti – che non ha giovato per nulla e non ha aiutato il popolo siciliano a maturare nella consapevolezza e a crescere nella democrazia e nella civiltà è arrivata la svolta con il cardinale Pappalardo. Da quel momento in poi è diventata sempre più esplicita, netta, evidente la condanna della mafia e la scomunica per i mafiosi. La presa di posizione della Chiesa ha un peso enorme perché la mafia non è un semplice sistema di delinquenza, è un sistema culturale, familiare“.

Il cardinale Pappalardo cambiò per sempre la posizione della Chiesa nella lotta alla Mafia.

Fu il cardinale Pappalardo a celebrare l’omelia funebre nel settembre 1983 davanti i feretri del Generale Dalla Chiesa e della moglie Emanuela Setti Carraro, appena assassinati da Cosa Nostra: “Mentre a Roma si discute, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici“. 

Era vicino a Giovanni Paolo II quando, ad Agrigento all’indomani delle stragi, tuonò l’anatema ai mafiosi, “Convertitevi, convertitevi, un giorno verrà il giudizio di Dio!“.

Dopo vent’anni e più, il vescovo Raspanti nel 2013 ha emanato un decreto pastorale con il quale ha vietato i funerali religiosi ai condannati per mafia che, dopo tre gradi di giudizio, non hanno dimostrato ravvedimento.

I mafiosi che dopo aver commesso una strage ringraziano la Madonna o pregano i santi perché un omicidio è riuscito sono idolatri – ha aggiunto Raspanti – non adorano Dio, vogliono autoconvincersi di questo per darsi forza, coraggio e una struttura identitaria“.