La cisti pelosa sull’ano

La cisti pelosa sull’ano

Prof. Diego Piazza

Il sinus pilonidalis è una formazione cistica che contiene spesso peli (pili nidus). Il sinus pilonidalis è anche detto cisti sacro-coccigea poichè ha come unico punto di insorgenza questa regione. Non deve assolutamente essere confuso con la patologia del canale anale, pur avendo in comune con essa alcune complicazioni come ad esempio la formazione di ascessi, raccolte purulente, e di fistole, cioè dei piccoli tunnel, i cui orifizi esterni si trovano nella stessa area.

I pazienti nei quali si riscontra più frequentemente questa patologia sono quelli con abbondante peluria, per questo motivo è 10 volte più frequente nei maschi rispetto alle femmine. Queste cisti si localizzano a livello della regione sacrale e si ritiene siano presenti fin dalla nascita e sono note con il nome di cisti dermoide. Queste cisti possono contenere al loro interno elementi cutanei, anche se, nella maggior parte dei casi, contengono peli interi, ma senza la radice, o denti.

Una delle teorie più diffuse è che questa malattia dipenda da un incistamento dei peli della piega interglutea. Per questo motivo la cisti pilonidale spesso si riforma anche se è stata completamente rimossa dal chirurgo. Normalmente queste cisti subiscono piccoli traumi continui, ad esempio rimanendo seduti. Tali traumi portano il sinus ad evolvere verso l’infiammazione fino alla formazione di un ascesso, ovvero una cavità ripiena di pus. L’ascesso può svuotarsi del pus attraverso un tunnel, detto fistola, verso l’esterno sulla cute. Di solito la malattia colpisce persone giovani sia maschi che femmine ed ha un’evoluzione intermittente, con periodi di remissione e di riacutizzazione.

Quel che è possibile vedere dalla visita al paziente è generalmente un piccolo gonfiore in regione sacro coccigea. La persona non si accorge del problema finchè il sinus non va incontro ad un’infiammazione acuta con formazione di un ascesso. Questo provoca alcuni segni localizzati tipici dell’infiammazione, cioè calore, arrossamento, dolore spiccato e tumefazione. Inoltre si possono manifestare alcuni segni generali di infiammazione ovvero febbre, malessere, cefalea.

La raccolta ascessuale, nell’arco di alcuni giorni spesso si rompe spontaneamente con immediato miglioramento delle condizioni locali e di quelle generali. Questo però non vuol dire che la malattia si sia risolta. Infatti il sinus rimane in sede e dal tramite esce persistentemente un liquido maleodorante mescolato a una sostanza biancastra e peli. Nel tempo è possibile che gli attacchi acuti si ripetano con la formazione di nuove fistole. Secondo alcuni ricercatori se la malattia si ripresenta entro un anno è causata da una non guarigione, mentre se ciò accade dopo un anno si tratta di un nuovo sinus.

La terapia del sinus è essenzialmente chirurgica e sono state messe a punto numerose tecniche di intervento legate all’elevata frequenza di recidive. Durante la fase infiammatoria acuta, di solito il chirurgo preferisce drenare il pus e far guarire la cavità, che viene lasciata aperta, attraverso delle medicazioni. Dopo questo trattamento di drenaggio il tasso di recidiva della malattia è piuttosto elevato, circa 40%. L’intervento chirurgico vero e proprio di solito viene effettuato in fase di remissione. Prima dell’intervento viene effettuata un’accurata rasatura della zona che va ripetuta ogni mese fino a sei mesi. L’intervento chirurgico consiste nell’asportazione completa di tutta la parte malata contenete il sinus e le fistole. L’estensione della rimozione è legata al numero ed alla ramificazione delle fistole che devono essere completamente asportate. Il chirurgo si trova a dover scegliere principalmente tra 2 modalità a seconda della situazione infiammatoria della regione. Può infatti scegliere di chiudere medianrte punti di sutura la cavità che residua dall’asportazione (chiusura per prima intenzione). I punti verranno quindi rimossi dopo circa 15 giorni. In questo modo la ferità si cicatrizzerà più rapidamente. Questo ovviamente sarrebbe il metodo da preferire, ma può portare spesso ad alcune complicanze come ad esempio ematoma, rottura dei punti o microascessi. Inoltre il tasso di recidiva è del 10-30%. Il secondo metodo, prevede invece di lasciare la ferita aperta (chiusura per seconda intenzione) e chiusura attraverso medicazioni specifiche. Si tratta di un metodo più sicuro con meno recidive ma richiede molto più tempo per la guarigione ed è meno tollerato dal paziente.

Con la collaborazione della dott.ssa Anna Claudia Colangelo