Trattativa Stato-Mafia, Ciancimino Jr in aula: “Ho passato io i pizzini fra mio padre e Provenzano

Trattativa Stato-Mafia, Ciancimino Jr in aula: “Ho passato io i pizzini fra mio padre e Provenzano

PALERMO –  È stato un fiume in piena durante la deposizione di ieri: interrogato dai giudici ha fatto luce su quello che è stato uno dei periodi più bui della storia recente italiana. Questa mattina Massimo Ciancimino è tornato nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo per continuare la sua deposizione.

Ciancimino è imputato e teste chiave dell’accusa sulla presunta Trattativa Stato-Mafia. 

In una deposizione durata quasi quattro ore racconta di Totò Riina, dei rapporti con Bernardo Provenzano, del presunto accordo con i rappresentanti delle istituzioni che il super boss avrebbe stipulato con lo Stato per poter continuare a godere della “libertà di movimento necessaria” durante la sua lunghissima latitanza.

Ho fatto da tramite nello scambio di ‘pizzini’ tra mio padre e Provenzano per molto tempo. Mio padre era molto cauto nel gestire la corrispondenza: li apriva con i guanti in lattice, li fotocopiava e poi li bruciava. Quando arrivava una lettera di Riina, che lui non stimava per niente, era un momento di ilarità”, ha aggiunto alludendo al fatto che le lettere erano sgrammaticate. Ciancimino avrebbe preso da Antonino Cinà i messaggi del capomafia e solo nel 1992 avrebbe saputo che venivano da Riina. “Quelli per e da Provenzano li gestivo io direttamente anche tra maggio e dicembre del 1992”.

Parla di Riina in toni molto forti: “Mio padre riteneva Riina una persona limitata intellettualmente, un doppiogiochista e un uomo aggressivo. Non ne aveva alcuna stima, lo chiamava pupazzo“.

Il padre, Vito, conosceva Riina e Provenzano da quando erano ragazzi. “Ne parlava come dei ‘picciotti’ di Luciano Liggio con cui lui aveva un rapporto di conoscenza – ha spiegato – Prima degli anni ’80 ho visto Riina più volte. Accompagnavo mio padre alle riunioni anche con altri, ad esempio Santapaola, ma non partecipavo e attendevo fuori”.

“Riina veniva anche a casa nostra. Una volta litigarono per la vendita di un palazzo in via Libertà. Lui si divertiva a irritarlo. Diceva che era molto stupido e prevedibile e gli faceva fare lunghe anticamere che lui viveva come mancanze di rispetto“.

I Palazzi di Via Libertà appunto. Tornano nelle parole di Ciancino jr gli anni del sacco di Palermo, quando le ville Liberty sparivano nottetempo; gli anni in cui Vito Ciancimino svendeva la città ai boss.

Ma di Riina,  Ciancimino e Provenzano avevano timore:”Mio padre di ritorno da Roma incontrò Provenzano, nel ’92, in uno studio dentistico di Palermo, tra via Sciuti e viale Lazio. Mi raccontò che quest’ultimo era molto preoccupato e gli disse che Riina era impazzito perchè considerava l’omicidio di Salvo Lima ‘solo l’inizio’, ora si fa sul serio, non si scherza più. E aveva fatto un lungo elenco di politici, tra cui Vizzini, e di magistrati che dovevano morire“.

Quando fu ucciso l’onorevole Salvo Lima nel ’92 mio padre era libero. Ho notato in lui amarezza e sofferenza perché considerava il modus operandi brutale. Era rimasto impressionato. Mio padre mi disse di andare a Palermo per dire a mio fratello di partecipare al funerale. Fu allora che incontrai un mio zio, Giuseppe Lisotta, che mi disse che c’erano due paesani, Nando Liggio e Sebastiano Purpura, che volevano parlare subito con mio padre. Avevano assistito all’omicidio. Erano in macchina con Lima ed erano scappati”.

Secondo l’accusa sarebbe stato proprio l’omicidio dell’eurodeputato Lima, il 12 marzo 1992, a dare il via alla Trattativa tra Stato e mafia.

Papà – ha aggiunto – mi riferì ancora che Riina aveva deciso di fare tagliare i rami secchi, per una nuova politica. Percepì in Provenzano la paura di questa escalation di violenza e disse che Riina era stato il più grosso danno per Cosa nostra“.

Vito Ciancimino “era preoccupatissimo perchè le leve dell’organizzazione erano in mano Riina; e Provenzano gli aveva detto che voleva defilarsi, fare credere magari che aveva una grave malattia e spostarsi in Germania dove forse aveva degli affetti. Ma papà gli risponde ‘Binnu (Provenzano n.d.r.) se si è arrivati a questo punto la colpa è anche tua che hai fatto spazio a Riina. Non puoi defilarti, bisogna provare a fermarlo‘”.

Ciancimino Jr parla anche di Falcone: “Tra me e Falcone si era creato un rapporto affettuoso. Ha sempre trovato tempo per ricevermi e aveva manifestato un’apertura nei miei confronti. Ho cercato di fare collaborare mio padre con la giustizia perché Falcone aveva mostrato interesse alla cosa e avevo capito che era disposto a stralciare la posizione di mio padre dal maxiprocesso. Poi, però, mio padre si tirò indietro e non se ne fece nulla”.

Incalzato dalle domande di Di Matteo parla di Capaci:  “Quando ci fu la strage di Capaci, mio padre rimase sorpreso, stupito e amareggiato- prosegue-. Diceva che quella strage faceva parte della strategia di Totò Riina.  Ricordo che in una intervista disse che quella strage non era mafia, ma terrorismo”.

 

 “Per mio padre – prosegue – Riina era troppo limitato per delineare una strategia a lungo termine. Mi manifestava i suoi dubbi: “Non riesco a capire chi gli sta mettendo in testa queste minchiate”. Anche per Provenzano c’era qualcuno che gli stava dettando queste strategie. Mio padre aveva precisa contezza che Riina fosse manovrato. Era anche la mia convinzione: un capo dei capi che papa’ trattava cosi’ male… Che buttava fuori di casa… Non sembrava avere nessuno spessore. Evidentemente dietro lui c’erano altri”.

 Dopo la strage di Capaci, incontrai in aereo il capitano del Ros Giuseppe De Donno che mi chiese un incontro con mio padre per avviare, con i vertici di Cosa nostra, un dialogo per trovare un accordo per fare cessare le stragi mafiose“.
De Donno voleva aprire un canale di dialogo privilegiato attraverso mio padre – dice Ciancimino – e il capitano mi disse anche che poteva essere l’occasione per aggiustare alcune cose che ci riguardavano, come la confisca dei beni. De Donno mi disse anche che i ‘tempi erano stretti’ e che avremmo dovuto fare presto“.

Attraverso mio padre cercavano un dialogo con esponenti di spicco di Cosa nostra come Provenzano – dice ancora il figlio di don Vito – Quando lo raccontai a lui rimasi molto sorpreso dalla sua reazione. Non fu per nulla stupito da questa richiesta. Anzi, era come se aspettasse questa richiesta. Mio padre mi disse di prendere un appuntamento con il ‘signor Franco’ per avere altre informazioni“. 

Ma chi è questo Signor Franco?