“La Sicilia ci ha levato speranze, sogni e futuro”. Da Catania a Milano storia di un gruppo di amici

“La Sicilia ci ha levato speranze, sogni e futuro”. Da Catania a Milano storia di un gruppo di amici

SICILIA – “Avrei tanto voluto lavorare nella mia terra, in Sicilia, ma lì non funziona niente. È una realtà profondamente arida che mi ha levato speranze, sogni e affetti. Non prendiamoci in giro, il clientelismo domina, o sei raccomandato e resti o ti fai le valige e parti”.

Parole forti, quelle di Giuseppe Tamà, catanese di 29 anni laureato in economia, che fotografano perfettamente quanto sta accadendo nella nostra isola: tassi di occupazione bassissimi e ragazzi brillanti costretti a scappare. Non una risposta, non un colloquio ma tante candidature, forse troppe, cadute nel vuoto e allora non ti resta che fuggire…

Giuseppe, Giulia, Enrico, Francesco, Ambra, Martina, Antonio, Dario, i loro sono soltanto alcuni dei nomi messi nero su bianco nella lunga lista dei giovani che partono per il nord Italia alla ricerca non di un futuro migliore… bensì di un futuro.

“Mi sono laureato in tempo e col massimo dei voti, ho provato ad inserirmi in alcune realtà catanesi ma tutti mi dicevano che non potevano pagarmi. O lavoravo gratis o niente – continua Tamà – Così, quasi subito, sono stato costretto ad andar via. Prima in Calabria e poi, da due settimane, mi sono trasferito a Milano. Non ci credo ancora, ho fatto più di dieci colloqui e già ho ricevuto una proposta concreta di lavoro a tempo indeterminato”.

E poi c’è Dario Mertoli, ingegnere civile dei trasporti di 29 anni, un amico di Giuseppe. Anche Dario ha fatto le valige ed è andato via. Oggi lavora per Amat, società del Comune di Milano che si occupa di mobilità e trasporto pubblico e della sua esperienza a Catania dice: “Mi sfruttavano e basta. Ho lavorato in uno studio per 15 mesi ma non ho mai percepito un euro, lì c’è proprio l’abitudine a non pagare”.

Non diversa la storia di Antonio Marchetta,  odontoiatra di 28 anni che proprio nella “grande mela” del nord Italia ha trovato la sua stabilità come direttore sanitario di una clinica odontoiatrica – “Quando posso torno sempre in Sicilia – afferma Marchetta – perché lì ci sono i miei amici, lì c’è la mia famiglia, c’è il mare, il sole, l’Etna, il cibo è ottimo ma in quella terra non c’è speranza per noi”.

E ancora “Il vero problema secondo me – continua Antonio – è che tutti questi elementi non si valorizzano e quindi non ci sono veri imprenditori, non c’è vero commercio… insomma non gira l’economia e quindi ne risente anche l’occupazione. Non si investe ma si pensa solo al proprio tornaconto”.

Un virus contagioso: in Sicilia per chi desidera firmare un contratto a tempo indeterminato di “lavoro gratuito” le porte sono aperte… oserei dire spalancate. E in quelle pochissime realtà in cui si ha ancora rispetto per l’articolo numero uno della Costituzione italiana, c’è la fila dietro la porta. Infatti si tratta di mosche bianche. 

Molti di loro si conosco dalle elementari e tutti sono accomunati da un unico grande dispiacere: aver lasciato la propria terra.

Anche per Giulia e Ambra non è stato facile. Una designer, l’altra farmacista. Entrambe grintose, entrambe, seppur non felici di vivere lontano da casa, incoraggiate dalle opportunità che gli si stanno aprendo. E mentre Giulia speranzosa ha subito iniziato a fare colloqui da appena due settimane, quelli che a Catania neanche si sognava, Ambra ha firmato un contratto a tempo indeterminato.