Negli ultimi anni, la ricerca biologica ha compiuto passi da gigante nella creazione di organismi artificiali, tra cui il cosiddetto protoclone.
Questo termine si riferisce a un’entità biologica sintetica, ottenuta attraverso tecniche avanzate di clonazione e bioingegneria, che riproduce alcune caratteristiche fondamentali degli organismi naturali senza essere un vero e proprio clone di un individuo preesistente.
Il Protoclone
Dal punto di vista biologico, il protoclone è costruito a partire da cellule modificate geneticamente o assemblate da zero utilizzando biocomponenti sintetici.
La sua struttura cellulare può essere basata su organismi modello, come i batteri o i lieviti, ma arricchita con elementi artificiali che ne migliorano le funzionalità.
Uno degli aspetti più innovativi è l’introduzione di circuiti genetici programmabili, che consentono al protoclone di rispondere a stimoli ambientali in modo predeterminato.
Gli scienziati vedono in queste entità un enorme potenziale, sia per la ricerca fondamentale sulla vita, sia per applicazioni biotecnologiche.
Tra gli utilizzi più promettenti vi sono la produzione di farmaci personalizzati, la bonifica ambientale attraverso microrganismi sintetici e persino la creazione di tessuti bioingegnerizzati per la medicina rigenerativa.
Tuttavia, le implicazioni etiche e le possibili conseguenze ecologiche sollevano interrogativi ancora aperti.
Intervista alla biologa Giuseppina Lo Giudice
Ai nostri microfoni, in esclusiva, è intervenuta la biologa Giuseppina Lo Giudice
“Quali sono le principali applicazioni mediche del protoclone e in che modo potrebbe rivoluzionare la medicina rigenerativa o i trattamenti personalizzati?”
“Il protoclone è finalizzato al miglioramento della produttività e della qualità della vita umana; in ambito medico potrebbe gettare le basi per la realizzazione di protesi sempre più performanti”.
Ci sono rischi biologici o etici legati all’uso del protoclone in ambito medico, e quali misure vengono adottate per mitigarli?
“Il problema etico potrebbe presentarsi qualora la scienza e la società impieghino queste macchine per scopi diversi da quelli per cui sono stati progettati. Qualcuno potrebbe addirittura preferire la compagnia degli umanoidi a quella degli umani, altri potrebbero ben pensare di affidare agli umanoidi mansioni svolte normalmente da lavoratori in carne ed ossa: in questi casi la convivenza con tali macchine potrebbe minare seriamente la nostra identità”.