Diego De Silva non intende manipolare la concentrazione del lettore. Lo mette in guardia della sua abitudine di cedere a un vorticoso giro di valzer con le parole, al punto da renderle protagoniste di storie dentro le storie, una sorta di matrioska poco vigile sulla narrazione originale scelta per il destinatario del romanzo.
L’esordio letterario e il protagonista
A questo suo modus operandi ben si addice l’esordio in letteratura di un protagonista paragonabile a un fratello adottivo dell’autore, Diego De Silva, giornalista, scrittore e sceneggiatore italiano, padre legittimo di un personaggio come Vincenzo Malinconico. Nel romanzo “Non avevo capito niente” (Einaudi), l’avvocato equilibrista sul filo indegno di successo è napoletano, ha quarantadue anni ed è marito e padre che giorno dopo giorno assiste alla lenta ma inesorabile dissolvenza dello stesso filo, spezzato in più parti. Primo tra tutti, il divorzio imposto dalla sua sempre più ex moglie già legata a un nuovo compagno, mentre lui è impegnato nel rimuginio sull’amore per la madre dei suoi figli.
Un nodo sentimentale e la legge…
Tra le righe di un nodo sentimentale s’incastra quasi per effetto di ribellione alla noia il sommo edificio dentro cui si amministra la legge uguale per tutti. Succede che una nomina d’ufficio intravede in Malinconico il difensore di Fantasia Domenico, in arte Mimmo ‘o Burzone, killer abilitato della camorra con un patto firmato a sangue. Anche qui, nell’operazione sorda al richiamo di uno spartiacque tra il bene e il male, l’avvocato d’insuccesso confonde le priorità acquisite in un giostraio di equivoci, incomprensioni, una tragi-comica inettitudine.
Un uomo affetto da “mediocrità esistenziale”…
L’avvocato arriva tardi agli appuntamenti da soggetto armato di una pericolosa leggerezza vicina, troppo vicina all’indolenza. Il titolo del romanzo investe la misura di una medaglia al petto che Vincenzo Malinconico riconosce in tutte le dubbie qualità, con la complicità di Diego De Silva, suo mentore e forse sua immagine riflessa di un residuo sterminato dal nulla. Nessuna particella ambiziosa si muove nell’evoluzione del romanzo, è già tanto se una comune cronaca del vivere quotidiano riesca a stravolgere un piano predisposto al fallimento. Nonostante affetto da mediocrità esistenziale, l’uomo ha attraversato secoli di storia nella consapevolezza di essere solo uno dei tanti rumori che ad ogni alba svegliano il mondo.
Una luna nera stalkera l’uomo rimasto in panne!
All’indirizzo dell’avvocato Malinconico sono non pochi gli aggettivi che caratterizzano il suo talento al pensiero privo di qualsiasi effetto imputabile a un assembramento neuronale. Sul binario incrinato, il destino corre come un treno in ritardo con la consegna della buona ventura. Ah che disastro! Ah, una luna nera stalkera l’uomo rimasto in panne!
Io vorrei, vorrei davvero che i dispiaceri scaduti, le persone sbagliate, le risposte che non ho dato, i debiti contratti senza bisogno, le piccole meschinità che mi hanno avvelenato il fegato, tutte le cose a cui ancora penso, le storie d’amore soprattutto, sparissero dalla mia testa e non si facessero più vedere, ma sono pieno di strascichi, di fantasmi disoccupati che vengono spesso a trovarmi. Colpa della memoria, che congela e scongela in automatico rallentando la digestione della vita e ti fa sentire solissimo nei momenti più impensati…
Malinconico di nome e di fatto…
C’è da sapere che la stella a tuo nome brillerà per te una volta soltanto, allora sì che la corsa precipita nell’urgenza di prendere al volo il mai stato, il mai avuto. In breve, l’excursus di un avvocato Malinconico di nome e di fatto, un uomo con troppi ieri in avaria, adesso cammina per le strade di Napoli avvolto nel banco di nebbia che fa da paravento alle occasioni perdute.
Le tribolazioni esistenziali
Procedendo nella storia inesperta nel salto dal racconto al romanzo, il successo delle tribolazioni esistenziali di un avvocato vis à vis con matasse di fili sprovveduti lo si deve a una platea essa stessa ingarbugliata con la soluzione dei tre rebus: famiglia, lavoro, vita. L’unica nota compiacente al personaggio Vincenzo Malinconico procede nello spirito disinvolto, a tratti schizzo maldestro di una cornice al margine del ridicolo. A passo svogliato, un residuo di uomo sensibile si addentra nel tunnel di quel cognome provvido di umore a bassa quota.
Questo dipendere dall’umore di un altro, questo fatto che se lei è gentile tu riesce ad arrivare vivo alla fine della giornata e se invece ti tratta con indifferenza sei un uomo distrutto e non riesce a combinare niente e accumuli lavoro e altri debiti di vario genere è veramente una porcheria, un’ignominia di cui non ci si dovrebbe mai macchiare per nessuna ragione al mondo. E la faccenda più penosa è che a questo punto l’amore è bello che finito (cosa vuoi amare, con una dignità così ridotta), eppure tu è ancora d’amore che parli.
Il disagio comune e la realtà
La cronaca del quotidiano di Malinconico poco si discosta dall’esperienza personale dei suoi coetanei in profondo disagio con le sensazioni interiori. De Silva osserva e racconta con lo stile di uno studio comportamentale dell’uomo nella vertigine di una società iperconnessa. In ragione di ciò, in questa sede è impensabile l’omissione di lode al romanzo finalista di un premio Strega.