Una tempesta di neve scuote gli equilibri messi a dura prova dal tempo benevolo quando vuole, arcigno con le stagioni battagliere con la luna piena sì, ma di rabbia.
All’alba del 2024 Loris Giuriatti, scrittore e divulgatore storico, guida esperta del monte Grappa per i visitatori dei percorsi dedicati alla Grande Guerra, ha chiuso la Trilogia dedicata al gruppo montuoso delle Prealpi Venete.
“La tormenta di San Giovanni” definisce la trilogia iniziata con L’Angelo del Grappa (2020) e Lo chiamavano Alpe Madre (2022).
L’epilogo della Trilogia riunisce attorno a sé molti co-protagonisti del secolo scorso ai piedi della Madre innevata che accompagna alla morte i suoi giovani figli.
Neve, tanta neve circonda la baita dentro cui i personaggi del perimetro montano rimangono intrappolati per un tempo, certo della sua fase iniziale, enigmatico sulla sua fine. Il Grappa li ha accolti, il Grappa li ha presi in ostaggio sotto il suo manto vergine ma pur sempre pronto a tradire.
Cinque uomini si ascoltano, si raccontano, affinché una sedia narrante trovi posto per una maggiore comprensione della voce che da lassù, alle altezze screziate d’azzurro e imbottita di un’immensa solitudine, tace.
Giulio, Gabriele, Roberto, Paolo sono rimasti inceppati nella macchina della natura e da essa affilano le armi alternative a una brillante comunione di opposti.
Il rapporto di un tempo è stato cancellato con due giri di chiave prima ancora che il libero arbitrio del silenzio abbia indossato una maschera di pace. Sotto quella coltre di neve c’è un non detto migrante tra la vetta e il tappeto bianco del pendio sul quale scivolano i venti dell’anima.
Ci vorranno ore prima di rivedere il cielo, in assenza di materia fisica né tecnologica ad ogni minuto la connessione con il mondo esterno sembra voglia assecondare il ritardo a favore di parecchi nodi da sciogliere. Prima o poi il turno del punto vince sulle virgole sospese per infermità del tempo.
Paolo e Giulio si ritrovano insieme dopo sedici anni dai quali nessuno dei due ha più saputo niente dell’altro. Sono due estranei con un passato di distanza connessa con la tempesta di neve che li ha intrappolati nella baita. Tutti insieme.
Quante verità sono state taciute, oggi sepolte in un lungo letargo che ha mantenuto possibile la voce del risveglio. Quante avventure ritornano sulle tracce di uomini che hanno condiviso la prima età incapace di dare consigli alle complesse direzioni della vita.
“Ma la montagna non fa accadere nulla per caso e rievocare la storia non è solo un modo per passare il tempo. Così, quella che era nata come una semplice disavventura dettata da cause di forza maggiore diventa l’occasione per la conoscenza di altri orizzonti e per la scoperta di verità rimaste sepolte nel tempo… Nessuno dei presenti, quando il cielo tornerà sereno, sarà più lo stesso“.
Succede che questo adesso replica uno ieri in bianco e nero colorato di rosso, macchiato di sangue. La storia del passato viene riesumata dalle labbra del più anziano, “il Vecio“, una storia di guerra combattuta dagli uomini di ieri che calpestarono la neve fradicia di morte.
Nella tempesta di neve del ’34 la morte chiamò a sé giovani soldati orfani di casa e famiglia nel nome di un ideale che la divisa chiamava patria.
Le basse temperature immobilizzavano quel po’ di coraggio inventato dalle povere membra dei sudditi del potere fascista, giovani eroi non ancora morti eppure già anime destinate ad essere sepolte nel sacrario costruito da Greppi e Castiglioni per volere del Duce, nel 1935.
La narrazione del Vecio ripercorre le tribolazioni di camicie che la neve del Grappa ha ben protetto dall’amnesia per difesa del tempo, ed ecco che la storia di quei giovani soldati siede attorno a un tavolo vicino a cinque uomini nati e vissuti molti anni dopo.
Guglielmo e Delio Schiavon erano due cugini, un prete e un militare del re senza corona. L’ avanzare dell’ideologia fascista fu teatro di un omicidio sul Grappa: un uomo del Duce venne trovato impiccato, il mistero aveva sconvolto la comunità, bisognava fare luce sul terribile assassinio.
Che sia in tempo di guerra o di pace, un uomo sulla montagna diventa lupo padrone del suo vagare senza meta con le unghie affilate dallo spettro della solitudine. L’avanzamento della parola abbassa le armi di difesa ancor più se accompagnata da un battito d’intesa.
Nascere una seconda volta si può, ed è proprio questo il senso narrativo auspicato dalla penna perdutamente innamorata del Monte Grappa.
La Storia entra nel rapporto di due uomini arresi al silenzio del dopo tempesta che da quel momento non ha più conosciuto voce di pace. Capita però d’imbattersi in una tormenta di neve che, come una benedizione solo in verticale, scende a picco sulle due anime per cancellare uno ieri sbagliato. Strategia del vento benevolo con gli uomini separati da una dolorosa crepa.
Al capezzale della speranza una fonte di calore scioglie le incrostazioni del debito con gli affetti, adesso sì che gli sguardi volano alto nel cimitero seppellito sotto una coperta custode del ricordo.