Manichini vestiti con abiti semplici per dire “NO” alla violenza di genere: l’iniziativa dell’associazione “Fiori Ribelli”

Manichini vestiti con abiti semplici per dire “NO” alla violenza di genere: l’iniziativa dell’associazione “Fiori Ribelli”

CATANIA – C’è un silenzio che urla, più forte di ogni parola gridata. È il silenzio di chi ha subìto violenza, di chi ha visto il proprio corpo trasformarsi in un campo di battaglia, di chi si è sentita giudicata, più per l’orlo di una gonna che per il dolore nel cuore. È un silenzio che pesa come un macigno su una società che troppo spesso si rifugia dietro domande sbagliate: Cosa indossava?“, Era provocante?“. Come se un vestito potesse mai giustificare l’ingiustificabile, come se un tessuto potesse assolvere il carnefice e condannare la vittima.

“Fiori ribelli” in prima linea contro la violenza sulle donne

In occasione della settimana dedicata alla lotta alla violenza di genere organizzata dal Comune di Acireale, l’associazione antiviolenza e antistalking “Fiori ribelli” ha deciso di squarciare questo silenzio.

Per sensibilizzare la comunità su un tema così delicato, è stata lanciata l’iniziativa (che prende vita grazie al supporto di esercenti e scuole locali) che prevede l’installazione libera di manichini – vestiti con abiti semplici – e chiunque potrà partecipare.

Potrà restare in mostra fino al 30 novembre o fino alla data che ciascun negozio e scuola vorranno discrezionalmente stabilire: basta un manichino con un paio di jeans ed una maglietta bianca, perché non ha veramente nessuna influenza cosa si indossava al momento dell’aggressione e dello stupro.

Parola ai “manichini”: no agli stereotipi

Di fronte a una cultura che continua a puntare il dito nella direzione sbagliata, hanno scelto di far parlare dei manichini, proprio per distruggere quello stereotipo dell’abbigliamento che è duro a morire, ovvero il “se l’è cercata” e, in particolare, l’odiosa domanda “Come eri vestita quel giorno?”.

I manichini, come detto, saranno vestiti con abiti comuni: jeans, magliette, vestitini, tute… come quelli che tutti noi indossiamo ogni giorno. E ci sono storie dietro a quei vestiti, storie di violenza, sopraffazione, di vite spezzate da mani che non si sono fermate a chiedere il consenso.

Le dichiarazioni della presidente Chiara Francesca Catalano

Crediamo fermamente che gli esercenti tutti e le scuole possano svolgere un ruolo fondamentale in questa iniziativa, contribuendo a diffondere un  messaggio importante e coinvolgente nella nostra comunità, catturando l’attenzione di ciascuno e stimolare una riflessione su questo tema cruciale“, spiega la presidente dell’associazione Chiara Francesca Catalano.

E ancora: “Siamo convinti che questa collaborazione non solo arricchirà l’esperienza di studenti e clienti, ma rafforzerà anche l’immagine del negozio e delle scuole come attore attivo e responsabile nella comunità“.

Il nostro obiettivo è far riflettere sul processo di colpevolizzazione della vittima, che avviene ogni volta che qualcuno mette anche involontariamente in relazione la violenza subita con una presunta responsabilità della vittima stessa, come fosse una colpa“, sottolinea.

Questo comportamento si manifesta con tutta una serie di domande inopportune come quella che dà il nome alla mostra ‘Com’eri vestita?’, oppure altre come ‘Erano jeans attillati?’, ‘Ti è piaciuto?’, ‘Gli hai detto di smetterla e che non volevi?’, ‘Perché hai indossato la minigonna?’“, prosegue.

Si tratta, ovviamente, di domande che contengono pregiudizi e stereotipi. Il vestiario non è un deterrente per evitare la violenza sessuale: queste donne indossavano indumenti semplicissimi, jeans e maglietta, un pigiama, un camice da lavoro, una tuta…“, conclude.

Il forte messaggio

“Pensati indistruttibile, come quei fiori che rinascono ovunque”. È proprio questo il messaggio, potente, semplice e devastante: “Non importa cosa indossava. Non è importante. La vittima non è mai colpevole“. In qualsiasi momento, luogo o contesto questo sia avvenuto.

Perché la violenza non si giustifica mai. Perché ogni donna che ha subito uno stupro, un’aggressione, un abuso, porta con sé una ferita che non ha nulla a che fare con una scelta di stile, ma riguarda il diritto violato di esistere senza paura.

In un mondo che ancora si attarda a discutere del “perché fosse lì” o del “perché indossasse quello” “Fiori ribelli” ci ricorda che è ora di spostare lo sguardo. Di parlare di colpe, sì, ma non della vittima. Della cultura dello stupro che normalizza la violenza, della complicità del silenzio, delle domande sbagliate che diventano un’altra forma di oppressione.

Non è il vestito, è la ferita

Questa iniziativa è un grido di ribellione e di speranza. Per ogni manichino che rimane fermo a testimoniare, ci sono mille cuori che possono trovare il coraggio di ricominciare a battere, mille voci che possono unirsi a un coro più forte di ogni pregiudizio. Non è il vestito, è la ferita. E quella ferita merita di essere curata con rispetto, empatia e giustizia.

A ognuno dei manichini sarà affiancata la domanda inquisitoria e la poesiaCosa indossavo?” che riportiamo integralmente qui di seguito:

Cosa indossavo?
di Mary Simmerling

Quello che indossavo
era questo:
dall’alto
una maglietta bianca
di cotone
a maniche corte
con lo scollo rotondo
era infilata in
una gonna di jeans
(sempre di cotone)
che arrivava appena sopra il ginocchio
con una cintura
sotto tutto ciò c’era
un reggiseno di cotone bianco
e mutande bianche
(probabilmente non coordinate)
ai piedi
scarpe da tennis bianche
quelle con cui si gioca a tennis
e infine
orecchini d’argento e lucidalabbra.
questo è ciò che indossavo
quel giorno
quella notte
quel 4 luglio
del 1987.
Ti chiederai
perché questo è importante
o come possa ricordare
ogni elemento
in modo così dettagliato
vedi
Questa domanda mi è stata fatta
molte volte
molte volte
mi sono ritornati alla mente
questa domanda
questa risposta
questi dettagli.
ma la mia risposta
molto attesa
molto attesa
sembra in qualche modo piatta
dato il resto dei dettagli
di quella notte
durante la quale
a un certo punto
sono stata violentata.
e mi chiedo
quale risposta
quali dettagli
dovrebbero dare conforto
potrebbero dare conforto
a te
che me lo chiedi
cercando conforto dove
non c’è
ahimè
nessun conforto
che possa essere trovato.
se solo fosse così semplice
se solo potessimo
porre fine agli stupri
semplicemente cambiando i vestiti
Ricordo anche
cosa indossava lui
quella notte
anche se
in verità
questo nessuno
lo ha mai chiesto.